Il martirio nell'Islam moderno by Meir Hatina

Il martirio nell'Islam moderno by Meir Hatina

autore:Meir Hatina [Hatina, Meir]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788869680410
editore: oBarraO
pubblicato: 2016-11-14T23:00:00+00:00


L’ETHOS DI MORTE DI AL-QA‘IDA

Il carattere globale consentì ad al-Qa‘ida margini di manovra più ampi rispetto ai movimenti islamisti territoriali, che erano soliti stabilire con i rispettivi governi centrali relazioni su diversi livelli, oscillanti tra la cooperazione, la competizione, il disaccordo, la tensione e il confronto. Al-Qa‘ida, invece, era svincolata da quel modus vivendi, in quanto agiva come un’entità sovranazionale che sfidava i rapporti di potere esistenti.28 Il concetto di jihad globale fu varato da una dirigenza carismatica lanciata dal successo ottenuto con la cacciata dell’esercito sovietico dall’Afghanistan nel 1989 e agevolata da risorse sia materiali che umane. Le prime erano legate al fenomeno della globalizzazione, considerato un “male canceroso” dagli islamisti che la vedevano come uno strumento usato dall’Occidente per asservire le nazioni oppresse e cancellare le rispettive culture, ma in grado di offrire un’opportunità per un flusso relativamente agevole di persone, fondi, conoscenze tecniche e comunicazioni nell’ambito di quello che Thomas Friedman ha definito “l’appiattimento dell’universo”.29 In particolare le nuove tecnologie delle comunicazioni si erano diffuse durante gli anni Novanta, all’epoca della comparsa di al-Qa‘ida. L’organizzazione intuì rapidamente le possibilità latenti del cyberspazio e le sfruttò per creare due pubblici per il suo discorso: uno più ristretto e operativo, che metteva in contatto gli attivisti attraverso la trasmissione dei messaggi e la preparazione degli attacchi, l’altro, più ampio e ideologico, che avvicinava i musulmani di tutto il mondo al suo concetto di jihad globale.30 L’uso di svariati media, con particolare riguardo per internet, permise di varcare i confini della comunità musulmana pan-arabista che al-Qa‘ida intendeva plasmare a suo modo.31

Le risorse umane erano localizzate nei paesi d’origine degli attivisti all’interno del mondo arabo musulmano e della diaspora araba nell’Europa occidentale. La ricerca empirica di Marc Sageman sull’origine geografica di 172 membri del jihad globale dimostra che il primo cerchio, corrispondente all’incirca allo strato della dirigenza, consisteva soprattutto di egiziani, i primi a unirsi al movimento durante la sua gestazione alla fine degli anni Sessanta e già forti di una formazione islamista, comprendente anche periodi in carcere come agitatori politici. I restanti tre cerchi erano costituiti da attivisti provenienti da Stati del mondo arabo mediorientale (Arabia Saudita, Yemen, Kuwait e altri), dal Nordafrica e dall’Asia sudorientale (soprattutto Indonesia e Malesia).32 Alcuni fra gli attivisti erano giovani discendenti di seconda o terza generazione di musulmani emigrati nell’Europa occidentale, per lo più istruiti, di estrazione medio-borghese e con cognizioni tecnologiche. Si trattava, dunque, di elementi preziosi per la strategia operativa dell’organizzazione, inclini com’erano a sentirsi distaccati e straniati dal loro ambiente culturale e sociale, da essi criticato di fare troppo poco per integrare le minoranze in ambiti quali l’alloggio, l’istruzione e il lavoro. Taluni si trovavano al fondo della scala sociale. Altri, specialmente in Francia, erano stati in prigione. Il senso di alienazione li spinse tutti tra le braccia di al-Qa‘ida, dove acquisirono un senso di appartenenza e un nuovo modo di esprimersi.33

In generale, l’origine medio-borghese accomunava le reclute di al-Qa‘ida, con marginali eccezioni riferite alle classi superiori o inferiori. Per la



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