Il mostro buono di Bruxelles by Hans Magnus Enzensberger

Il mostro buono di Bruxelles by Hans Magnus Enzensberger

autore:Hans Magnus Enzensberger [Enzensberger, Hans Magnus]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858407172
editore: Einaudi
pubblicato: 2020-02-16T16:00:00+00:00


Capitolo settimo

«It’s the economy, stupid!»

Questo slogan, che nella campagna del 1992 sostenne Bill Clinton nel suo percorso verso la presidenza, potrebbe a buon diritto campeggiare sulla facciata dell’edificio in Rue de la Loi, sede del presidente del Consiglio europeo. Malgrado tutte le metamorfosi, infatti, l’Unione è rimasta nell’anima ciò che essa stessa si è definita fino al 1993, ossia una Comunità economica. Agli occhi dei suoi sostenitori il destino non è fatto, come ancora riteneva Napoleone, dalla politica, bensí dall’economia. Essa si pone come autorità superiore che nulla, tanto meno le tradizioni secolari, le mentalità e le costituzioni dei paesi europei, sono in grado di intralciare. Questi accidenti vengono considerati semplici ostacoli da superare, proprio perché le multiformi culture di questo continente si oppongono ostinatamente alla propria standardizzazione.

Dai giorni della Ceca il progetto di integrazione economica è sempre stato portato avanti senza tener conto della diversificazione economica, territoriale, etnica e religiosa degli stati membri – un’insensibilità storica sulla quale non c’è Premio Carlo Magno o predica domenicale che possa ingannare.

Per descrivere le contraddizioni insite in questo modo di procedere non è neppure il caso di ricorrere alla retorica della critica culturale. Bastano gli strumenti della teoria dei sistemi. Secondo la quale la riduzione della complessità, da perseguire con la Comunità economica, genera inevitabilmente nuove complessità, i costi delle quali possono risultare cosí alti da far saltare il sistema. Questo, detto in modo freddo, ma chiaro.

C’è dunque una maligna ironia nel fatto che le lacerazioni piú pericolose affiorino proprio là dove l’Unione vedeva la sua missione piú peculiare, ossia nel campo dell’economia. Se gli stati fondatori potevano disporre ancora di una relativa forza economica, a quella Comunità ben presto si aggiunsero sempre nuovi soci, incerti ed evidentemente non all’altezza della sfrenata concorrenza del mercato comune. Lí per lí i paesi a moneta debole cercarono di salvarsi attraverso continue svalutazioni. Ma poterono ricorrere a tale espediente solo finché non ci fu una moneta comune.

Per coprire le inevitabili tensioni derivanti da questo difetto di costruzione, l’Unione non ha esitato neppure a violare i propri trattati. Se le cose fossero andate come dovevano, non avrebbe mai dovuto accogliere stati come la Grecia, la Bulgaria e la Romania. In proposito, il governo di Atene si è particolarmente distinto per aver comunicato dati statistici smaccatamente falsi, dai quali Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione, già fondato in Lussemburgo ai tempi della Ceca sotto Jean Monnet, si è lasciato per anni abbindolare.

Ancora oggi l’esperienza non impedisce a molti politici, che citano continuamente lo «spirito europeo», di patrocinare l’ingresso di sempre nuovi candidati. Il fatto che l’Unione tenda a estendere la propria area di intervento sino ai confini dell’Iraq e dell’Iran sembra non turbarli.

Con la decisione di introdurre una moneta unica, gli sforzi hanno raggiunto una nuova dimensione. Come al solito, tale decisione è stata preparata dietro le quinte. Già nel 1979 la Cee creò una moneta artificiale chiamata Ecu, pensata solo come semplice unità di conto e definita da un paniere di valute. Non è certo un caso che



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