Il nostro amore è per sempre by James Patterson & Emily Raymond

autore:James Patterson & Emily Raymond [Patterson, James & Raymond, Emily]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2014-06-04T21:00:00+00:00

Seconda parte

26

E così, sotto un cielo del Colorado tanto blu da fare male agli occhi, arrivammo alla terribile verità. Puoi pianificare la fuga, abbandonare la tua vita e la tua famiglia e volare in autostrada su un’auto rubata. Ma ci sono cose alle quali non puoi sfuggire.

Cose come il cancro. Perché ti accompagnano nel tuo viaggio.

Riuscii a guidare il pick-up fino a un ospedale a quarantacinque minuti da lì, a La Junta. Robinson si era sdraiato con la testa sul mio grembo e io morivo dal desiderio di passargli le dita tra i capelli e rassicurarlo, dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Ma il pick-up non aveva il servosterzo e quindi dovevo tenere tutte e due le mani sul volante.

E non ero affatto sicura che sarebbe andato tutto bene, proprio per niente.

La piccola sala d’attesa dell’ospedale era gelida, illuminata da quelle lampade fluorescenti che fanno apparire le persone grigie e fradice come pesci. Robinson non faceva che rabbrividire, appoggiato a me. Sulla T-shirt aveva una macchia di sangue scuro e rappreso. Si abbottonò la camicia di flanella per nasconderla. «Altrimenti penseranno che mi sono preso una pugnalata», spiegò.

«Non sarebbe una cosa così brutta», risposi. C’erano altre quattro persone nella sala, e dall’espressione sulle loro facce sembrava che fossero lì già da un po’.

Robinson scosse la testa. «Ho bisogno di sdraiarmi», disse con voce roca.

Mentre mi avvicinavo, la donna al banco mi guardò con sospetto. Forse mi leggeva negli occhi la paura, o forse credeva che fossi una vagabonda o una drogata. Vidi il mio riflesso pallido nell’angolo di uno specchio e non potei darle torto.

«Cosa posso fare per te?» domandò. Il nome sulla targhetta era «Debbie».

«Il mio amico sta male», spiegai, indicando Robinson, rannicchiato su una seggiolina di plastica. Continuavo a rivedermi davanti agli occhi la scena a bordo del pick-up. Era come un incubo.

«Il dottore è già stato chiamato», disse Debbie. Poi mi esaminò, corrugando leggermente la fronte. «Vuoi farti vedere anche tu?»

«Io sto benissimo», dissi rigidamente, benché fossi sul punto di svenire dalla stanchezza.

Raggiunsi Robinson e restammo seduti nel nostro angolino per quelle che mi parvero ore. Alla fine, un signore anziano con un braccio ingessato si avvicinò e mi posò la mano buona sul ginocchio.

«È sabato mattina, tesoro», spiegò. «Sono quasi tutti a pesca, medici e no.»

Mi morsi forte il labbro. Eravamo senza medico. E, una volta trovato, sapevo cosa sarebbe seguito: esami del sangue, biopsie con aghi sottilissimi, tomografie a emissione di positroni... Il pensiero di ricominciare tutto daccapo mi fece venir voglia di scappare.

«Benvenuta nell’America delle piccole città, Axi», disse Robinson, «dove al bowling e alla Loggia degli alci hanno più dipendenti che in ospedale.»

«Non ti preoccupare, il dottore sta per arrivare», gli dissi. «Intanto possiamo guardare la tv, che ne dici? Ultimamente non hai avuto la tua dose quotidiana.»

Lui annuì. «Se tu avessi anche una Slim Jim e un pacchetto di Oreos, sarebbe tutto perfetto.»

Cercai di pulirgli una macchiolina di sangue dal colletto. «Devi abituarti a mangiare meglio, davvero.»

«Lo so. Mi trovo al pronto soccorso per via di troppe Slim Jim e troppo poca tv.

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