Il pane perduto by Edith Bruck

Il pane perduto by Edith Bruck

autore:Edith Bruck [Bruck, Edith]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2021-01-23T23:00:00+00:00


10 Signorina, signorina, / come ti chiami? / Vieni qua, dammi la fica... / ...figlia di puttana.

11 La speranza.

La realtà

Dopo aver cantato l’inno nella confusione, dove mi lasciavo urtare, spostare e non desideravo altro che il bagno sulla terra ferma, sotto i piedi vidi la scritta WC. Intanto il mio ragazzo era scomparso e a malapena lo avevo intravisto su un camion che partiva verso chissà dove.

Raggiunsi la fila in attesa di essere registrata. Gli uomini e le donne, secondo l’età, vennero arruolati nell’esercito e io, ancora diciassettenne, venni trasferita in un campo seminato nella sabbia di prefabbricati con il tetto di lamiera.

Dove, dove sono, mamma, mamma! La invocavo di notte, tra gli ululati degli sciacalli.

E della realtà che temevo quando non volevo partire con Judit? Dov’è Judit, dov’è? Il sogno si è infranto ed è andato in fumo con la mamma, come la sua attesa dei russi e quella di papà, che aspettava il socialismo.

Dietro di me tabula rasa, davanti una fila con una ciotola per il cibo e una donna energica di nome Ruth che manteneva l’ordine, soprattutto tra i più impazienti, sotto il sole ancora bollente d’oriente.

La lingua tra noi era quella babelica, essendo arrivati da ovunque e sistemati un po’ secondo le nostre provenienze, gli ungheresi sono diventati ungheresi, i romeni romeni, mentre nei nostri Paesi eravamo solo ebrei. Nell’ufficio del campo seppi che Judit e David erano già nel Paese. Con inattesa rapidità mi informarono che mio fratello con la moglie e un bambino vivevano in una cooperativa agricola e il bambino si chiamava come mio padre, in ebraico Shalom.

Judit viveva in un quartiere periferico a Haifa con il marito sposato a Cipro e avevano un figlio di nome Haim12.

Lo zio di nome Joel era a Tel Aviv con due figli maschi: Avi e Itai.

E con che soldi vado a trovarli?, mi chiedevo giorno dopo giorno, finché seppi che tutti viaggiavano in autostop.

Le macchine private scarseggiavano e il primo viaggio lo feci soprattutto sulle jeep militari e i camion, cercando di spiegare dove ero diretta, con l’indirizzo di Judit in mano.

La piccola casa era su un terreno infossato, con una grande terrazza, dove vidi un bambino in carrozzina. Piccolo piccolo, che meraviglia, con un faccino che tendeva al sorriso e due grandi occhi di brillanti neri.

Mi chinai per baciarlo inondandolo di lacrime che lo fecero gridare e accorrere mia sorella in grembiule, ciabatte, che a momenti sveniva.

“Dio, Dio!” urlava di gioia e rimproveri perché non ero partita con lei.

E mi raccontava di sé e io raccontai di me tacendo di quell’uomo in Slovacchia, ma parlando del ragazzo conosciuto sulla nave.

“E adesso che farai? Verrai ad abitare da noi o da David, che è arrivato tre mesi fa? Qui, ai singoli non danno alloggio. La vita è dura ma siamo a casa, a casa degli arabi che vogliono buttarci nel mare. Mio marito, in mancanza di altro, fa il vigile. Non è felice, voleva fare il pittore, come te la scrittrice. Scrivi ancora?”

“Più di prima, le



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