Il pensiero affettivo by Ginevra Bompiani & Sarantis Thanopulos

Il pensiero affettivo by Ginevra Bompiani & Sarantis Thanopulos

autore:Ginevra Bompiani & Sarantis Thanopulos [Bompiani, Ginevra & Thanopulos, Sarantis]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2024-08-27T00:00:00+00:00


10.

Cara Ginevra,

mi ha sempre affascinato una questione posta da Louis Althusser. Oggi nessuno parla di lui: ha ucciso sua moglie. Ma credo nella clemenza del tempo che, pur non perdonando (non è nelle sue competenze), prima o poi chiude le palpebre con un gesto gentile anche sullo sguardo perduto nel vuoto di chi ha ucciso. Come accade con le cose che ti colpiscono profondamente in modo duraturo (avevo poco più di vent’anni quando mi ci sono imbattuto), non sono sicuro di riprodurre fedelmente l’interrogativo, non privo di ansia, di Althusser. Mi affido all’impronta che ha lasciato in me: che cosa fa corrispondere l’oggetto della conoscenza all’oggetto reale?

L’interrogativo presume che la realtà e la nostra conoscenza di essa, mediata dal linguaggio, non siano la stessa cosa. Non ho mai trovato credibile la corrispondenza tra linguaggio e realtà, anzi mi provoca un senso di claustrofobia. La realtà non è strutturata come linguaggio, lo strutturalismo ci consente di conoscerla da una certa prospettiva proficua, ma questa è solo una delle forme della conoscenza. La realtà eccede la sua significazione attraverso le parole.

Il punto, radicato nella fase iniziale della nostra vita, in cui esperienza (tutto ciò che implica una trasformazione della nostra materia psicocorporea) e conoscenza sono indissociabili, in cui non si può parlare di ragione che pensa l’esperienza, è il punto in cui la realtà ha senso per noi e noi ci sentiamo reali. Il senso della realtà (che è diverso dal pensarla o concepirla) ci costituisce soggettivamente come parte di essa.

Esiste dunque un punto, un’archè della nostra esperienza vissuta, in cui la realtà non è un “oggetto” conoscitivo, ma fa parte della nostra soggettività, pur mantenendo la sua alterità. Allora, se vediamo la realtà non come “reale bruto” – l’insensato, l’invivibile ancor prima che l’impensabile – ma come l’“altro” che ci co-costituisce (anche quando è una cascata o un arcobaleno), la corrispondenza tra conoscenza e realtà, che chiamiamo “senso dell’essere”, come la si raggiunge? Per moltissimi anni ho creduto che ciò che ci fa conoscere davvero la realtà sia la sua resistenza alle nostre manipolazioni mentali (la “vendetta della natura” è tra le sue forme più micidiali). La resistenza della realtà ci costringe a trasformarci in modo tale che attraverso le nostre più intime evoluzioni interiori riusciamo a corrisponderle e a sentirci vivi.

Se nel nucleo originario della nostra esperienza – l’esperienza che pensa è conoscenza di per sé – l’intima percezione di noi è tutt’uno con la percezione della realtà, e questo può accadere solo se l’oggetto reale con cui entriamo in contatto e ci incontriamo ci trasforma ed è da noi trasformato, allora è questo nucleo originario che ci fa sentire appartenenti al mondo reale in cui viviamo. Il riflettersi nel mondo e il suo riflettersi in noi è la base della nostra corrispondenza con esso. Questa base è di natura erotica perché coinvolge tutti i sensi in modo sensuale, intenso. Non esiste la “realtà” al di fuori della sua abitabilità e del senso primario che ha per noi, prima che essa sia simbolizzata.



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