Il periodo del silenzio by Francesca Manfredi

Il periodo del silenzio by Francesca Manfredi

autore:Francesca Manfredi [Manfredi, Francesca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2024-02-15T00:00:00+00:00


Il lunedì di Pasqua passò senza che Silvia mi chiamasse. Di solito eravamo abituate a fare qualcosa insieme: un picnic al parco, una gita in montagna, a rimpinzarci di cibo e alcol al rifugio o in osteria, mentre gli amici meno modaioli di Silvia − quelli che frequentava solo a Pasquetta o d’estate − facevano camminate. Quell’anno lo passai davanti alla televisione che trasmetteva i film della Bibbia, ringraziando Gesù Nostro Signore per averci lasciato in una maniera così scenografica. Ringraziai anche il silenzio, di nuovo, per servirmi da scusa. Se non ci fosse stato, avrei implorato Silvia di portarmi con lei, qualsiasi piano avesse, come un cane con la padrona che si appresta a uscire di casa.

Passò la settimana e arrivò il venerdì. Daniele si presentava sempre tra le sette e un quarto e le sette e mezza; rimasi a letto fino alle sei e venticinque. Poi, pigramente, mi alzai, tolsi le lenzuola sporche da settimane, le misi nel cestello della lavatrice e le cambiai. Era troppo tardi per fare il bagno, così azionai il soffione della doccia. Avevo i capelli talmente unti che ci vollero due shampoo prima di iniziare a sentire le dita scricchiolare sulla cute. Mi sparai un getto di acqua fredda sulla faccia, sulla spalle e sulla nuca e uscii. Mi tagliai le unghie e mi spalmai la crema per il corpo. Non lo facevo mai e la mia pelle aveva iniziato a squamarsi, sulle braccia e sulle tibie. Anche in viso sentivo la pelle tirare. Era come se mi stessi prosciugando. Tornai in camera da letto e misi l’intimo migliore che avevo, impegnandomi per la prima volta da mesi – anni? – a coordinare slip e reggiseno. Daniele suonò in quel momento. Non ero ancora vestita, ero scalza. Gli aprii e poi corsi di nuovo in camera. Rimasi a fissare l’armadio, non riuscivo a scegliere niente. Quando sentii sbattere la porta d’ingresso richiusi l’anta. Daniele urlò un saluto, poi si mise a cercarmi. Sono qua, gli avrei detto, scusa.

“Sei in bagno?” chiese. La sua voce aveva perso la fiducia iniziale. “Ah no, sei qui. Eccoti.”

Indossava un completo blu scuro. Niente cravatta, la camicia con i primi bottoni lasciati aperti. Era molto bello.

Avevo i capelli che gocciolavano, sentivo l’acqua gelida sulle spalle.

“Non importa,” disse. “Ti aspetto di là. Ho preso una cosa da bere.”

Lo disse veloce, per farmi credere che non gli importava davvero. Mi sembrava di infliggere una tortura a un cucciolo di gatto. Si mise ad armeggiare in cucina, lo sentivo aprire e chiudere le ante, cercare i bicchieri, aprire il cassetto dove tenevo il cavatappi. Mentre stappava la bottiglia, indossai un abito nero di Yves Saint Laurent Inverno 2008, uno degli ultimi acquisti che avevo portato a termine su Vestiaire. Un regalo per i primi tre mesi di silenzio.

Ecco, gli avrei detto andando di là. Sono pronta.



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