Iliade by Corrado d'Elia

Iliade by Corrado d'Elia

autore:Corrado d'Elia [d'Elia, Corrado]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni Ares
pubblicato: 2024-06-14T22:00:00+00:00


VI

Achille se ne stava nella sua tenda lontana

a suonare.

Suonava la cetra preziosa, bellissima,

che lui stesso aveva scelto

come bottino.

La suonava con dolcezza

perché solo in questo trovava conforto,

suonare e cantare

storie di eroi immortali.

Accanto a lui, Patroclo

l’ascoltava in silenzio.

Poi, inaspettati, apparvero in cinque.

Ulisse avanti a tutti

e dietro Fenice

e Aiace e due messi

mandati da Nestore.

Li avevano scelti con cura,

tra tutti gli Achei

quelli a cui lui era più affezionato.

Così Achille disse “amici”

e dopo averli a lungo abbracciati,

li fece sedere a tavola

e Patroclo portò loro

vino dolce,

e carni tenere,

e pane caldo e fragrante.

Così banchettarono tutti insieme,

felicemente, fino a tardi.

Poi Ulisse alzò la coppa e disse:

«Salute a te, Achille, principe eccelso.

Sontuoso è il tuo banchetto

e regale, e noi ti ringraziamo.

Ma una grave sciagura incombe

su di noi,

e il nostro cuore non smette di tremare.

Ettore è incontenibile,

non teme nessun uomo

né l’ira degli dei.

Una furia insensata lo possiede

e non aspetta che l’alba

per assalire i nostri uomini,

incendiare le navi

e trucidare, nel fumo che si alza,

tutti gli Achei.

Non c’è scampo, Achille, lui lo farà

è certo, e noi tutti troveremo la morte

qui, a Troia,

lontano dalle nostre case

e dai nostri affetti più cari.

Ma se, trattenendo l’ira,

tu solo lo volessi,

ci sarà ancora il tempo per noi

per rimandare la morte sicura.

Agamennone ha promesso

di darti doni grandi e preziosi.

Persino la bella Briseide ti restituirà,

dalle chiome dorate,

che ti rapì un giorno,

se prometti di rinunciare

alla tua collera.

Ma se non te la senti,

perché troppo odio nutri nel cuore

per Agamennone

e intollerabili ti sono i suoi doni,

sii pietoso con gli Achei,

stremati sul campo,

e anche con noi

che oggi qui soffriamo,

ma domani in patria

potremo onorarti come un dio.

Pensaci, Achille, pensaci.

La mitezza, questa è la vera forza».

Allora volse il capo Achille e disse:

«Figlio di Laerte, Ulisse dalla mente divina,

ti parlerò onestamente

e dal profondo, così eviteremo

inutili parole.

Ho sempre rischiato la mia vita in battaglia,

ho trascorso notti insonni,

ho lottato contro nemici valorosi

e distrutto città invalicabili.

Niente ora mi resta dopo queste imprese.

Come un uccello

che porta ai suoi piccoli il cibo,

trovato a fatica, e li rallegra con quello,

così io ho combattuto

per giorni e notti

contro nemici valorosi,

per conquistare le loro ricchezze

e consegnarle

all’infame Agamennone,

così da allietarlo.

Il poco che tenni per me

lui me l’ha tolto.

Persino l’amata Briseide.

Ora ascoltatemi bene,

nessuno su questa terra

potrà convincermi a placare la mia ira.

Né Agamennone, né altro Acheo.

La donna che io amavo,

e desideravo come sposa,

benché schiava di guerra,

adesso dorme con lui!

Bene, se la tenga,

giaccia con lei mille volte

e se la goda!

Odio e odierò per sempre lui

e tutti i suoi doni.

Non mi farò ingannare un’altra volta.

Anche se mi desse

dieci, venti, cento volte ciò che possiede,

anche se mi offrisse tanti doni

quanti la terra ne produce

e il mare nasconde,

tutte le ricchezze

che Troia racchiude

dentro le sue mura invincibili,

neanche allora riuscirebbe ad ammansire

il mio cuore».

Così parlò. E tutti rimasero in silenzio,

sorpresi, turbati dalle sue parole

e dal suo fermo rifiuto.

Tornarono nelle tende mestamente,

ad aspettare l’Aurora dalle dita rosate,

mendicando al silenzio

il dolce dono del sonno.



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