Imperi islamici by Justin Marozzi
autore:Justin Marozzi [Marozzi, Justin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2020-03-10T12:00:00+00:00
Maometto II scelse personalmente la collina su cui edificarla, in modo che il suo architetto greco Atik Sinan potesse costruire una moschea la cui cupola sarebbe svettata al di sopra della vecchia Santa Sofia. Nelle sue intenzioni, il nuovo edificio doveva competere, se non superare, ogni chiesa della città «per altezza, bellezza e dimensioni».
La leggenda vuole che quando quell’intento non parve essere stato realizzato, nonostante le lodi altisonanti rivolte a Çelebi, il sultano fece amputare una mano all’architetto. Comprensibilmente sconvolto da quell’angosciosa manifestazione di giustizia sommaria, Sinan fece appello a un giudice, che si pronunciò coraggiosamente in suo favore, permettendo all’architetto di amputare a sua volta una mano al sultano. Sinan fu cosí colpito da quella dimostrazione di giustizia islamica che, a quanto si narra, perdonò il sultano e si convertí all’islam. In quello che suona distintamente come un poscritto apocrifo di questa leggenda, Maometto II avrebbe sguainato la spada, dicendo al giudice che, se la sua sentenza fosse stata ingiusta nei confronti del sultano, lo avrebbe ucciso sul posto. Imperterrito, il giudice estrasse a sua volta la propria spada e rispose che, se Maometto si fosse rifiutato di sottomettersi alla giustizia di Allah, non avrebbe esitato a uccidere il sultano48.
La storica dell’arte islamica Gülru Necipoğlu ha dimostrato la celerità con cui Maometto II lasciò la sua impronta su una città che era stata in passato un’antica metropoli cristiana ed era diventata ora la nuova capitale islamica. Il sultano era determinato a riportare quella città lacerata alla sua antica grandezza, all’interno però di una matrice musulmana. Per prima fu costruita la Fortezza di Yedikule, ingegnosamente eretta sulle mura circostanti la Porta d’Oro e divenuta dal XVI secolo una prigione di stato tristemente famosa. Disprezzando qualsiasi restauro del Gran palazzo di Costantino, ormai in rovina, e del Palazzo delle Blacherne, sede tradizionale del potere bizantino fin dall’XI secolo, il giovane sultano scelse un proprio percorso ben distinto. Là dove un tempo sorgeva un monastero, sul sito del Foro di Teodosio del IV secolo, fu costruita una prima residenza reale ottomana, completa di sala delle udienze, harem, padiglioni sontuosi, una riserva di caccia rifornita di animali selvatici e vasti giardini all’interno di mura di quasi un chilometro e mezzo, con eleganti fontane, una monumentale colonna teodosiana, pavoni, struzzi e altri uccelli esotici.
In seguito, nel 1459, iniziarono i lavori di un progetto di ben altra portata. Maometto II voleva costruire «un palazzo che eclissasse tutti gli altri e fosse piú meraviglioso dei precedenti palazzi per aspetto, dimensioni, bellezza e costi». Innalzato su 600 000 metri quadrati dell’antica acropoli su una serie di terrazze nel punto piú orientale della costa europea della città, lo Yeni Saray, il «Nuovo Palazzo», si sviluppò in oltre due decenni in un’elaborata successione di tre cortili principali, ciascuno con le sue porte monumentali. Man mano che si avanzava attraverso il complesso palaziale, i cortili immancabilmente ombreggiati conducevano dalla zona pubblica a quella privata, passando dalla zecca, l’ospedale, gli uffici amministrativi, le cucine di palazzo, le stalle e la sala
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