K. by Roberto Calasso
autore:Roberto Calasso [Calasso, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
editore: Grizli777
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00
8. LA COLTRE DI MUSCHIO
La tana è quanto più si avvicina, in Kafka, a uno scritto testamentario. E il racconto fu composto nel suo ultimo inverno, 1923-1924. Il tono è quello di un resoconto scrupoloso, come di chi dicesse: se davvero volete sapere qual era la mia vita qui troverete il diario di bordo, ma spogliato di ogni accidentalità , ridotto alla geometria dei movimenti, sopra e sotto la coltre di muschio che apriva l'accesso alla tana. Tutto il racconto è una catena deduttiva che discende da un singolo enunciato, quattro parole dei Diari scritte all'inizio del 1920: «Meine Gefangniszelle -meine Festung». « La mia cella di prigioniero - la mia fortezza ». Di che cosa si parla nella Tana? Di una questione su cui Kafka si era soffermato più volte, nei Diari e in numerose lettere. Sempre per accenni, mai in modo sistematico. Si trattava di un « modo di vivere », quello che gli apparteneva- era giunto a pensare -irriducibilmente, ma che all'inizio era stato quasi un gioco, una sfida, una provocazione. Mentre alla fine si era rivelato una necessità . Quel modo di vivere - o piuttosto quel regime della sopravvivenza - si era svelato in maniera sempre più netta e rigorosa grazie all'azione di ciò che Kafka chiamava lo scrivere. Ma a sua volta lo scrivere aveva soltanto fatto affiorare qualcosa che comunque era già presente: uno scarto, una cesura rispetto alla « corrente della vita», da cui riconosceva di non essere "mai stato trascinato». Non c'era riuscito, non aveva voluto, non aveva potuto. Ogni tanto Kafka era preso dalla curiosità di indagare come era cominciato tutto, come aveva cominciato a manifestarsi quel «nodo di vivere » che poi sarebbe diventato per lui l'unico modo di vivere. E una volta descrisse quegli inizi con parole così terse e pacate da suonare definitive, in una notazione dei Diari che risale al gennaio 1922: «L'evoluzione è stata semplice. Quando ero ancora contento ho voluto essere scontento e mi sono spinto nella scontentezza, usando tutti i mezzi dell'epoca e della tradizione che mi erano accessibili, però volevo pur sempre poter tornare indietro. Insomma ero sempre scontento. anche della mia contentezza. La cosa strana è che la commedia, se la si applica in maniera sufficientemente sistematica, può diventare realtà . La mia decadenza spirituale è cominciata con un gioco puerile, e comunque consapevole nella sua puerilità . Per esempio contraevo ad arte i muscoli del viso, camminavo per il Graben con le braccia incrociate dietro la testa. Giochi infantilmente fastidiosi, ma efficaci. (Qualcosa di simile accadde con l'evolversi dello scrivere, solo che quell'evolversi dello scrivere disgraziatamente in seguito si inceppò). Se in questo modo è possibile costringere l'infelicità a lasciarsi evocare, allora tutto dovrebbe lasciarsi evocare. Per quanto l'evoluzione successiva sembri confutarmi e per quanto il fatto di pensare così contrasti in genere con il mio essere, non posso ammettere in alcun modo che i primordi della mia infelicità siano stati interiormente necessari, forse avranno avuto una loro necessità , ma non interiore, arrivarono in volo come mosche e come mosche si sarebbero potuti facilmente scacciare ».
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