La casta dei suicidi by Lucian Dan Teodorovici

La casta dei suicidi by Lucian Dan Teodorovici

autore:Lucian Dan Teodorovici [Teodorovici, Lucian Dan]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788861040816
editore: aìsara
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


VIII

Un pazzo cammina per strada trascinandosi dietro una fune. Qualcuno, una persona che ha avuto la pazienza di osservarlo per un po’, si avvicina e gli chiede meravigliato: «Senti, ma perché diamine stai trascinando quella fune?».

Il pazzo si stringe nelle spalle e poi risponde, sfoggiando un ragionamento inoppugnabile: «Ho provato a spingerla, ma si piega!».

Anche il mio amico bevitore di whisky ha dato prova di ragionare allo stesso modo. Tuttavia, nonostante sembri estremamente razionale mentre pianifica la propria morte, c’è qualcosa che non va, c’è qualcosa che non torna.

Sebbene in sua presenza mi sia puntualmente sentito inferiore dal punto di vista, diciamo così, intellettuale, ho sempre provato una certa sensazione che funziona da freno per i miei complessi. In altre parole, c’era qualcosa che mi faceva sentire superiore a lui: mi sentivo più profondo. E questo perché ho capito che per lui il suicidio in sé è un atto artistico, e non la forma sotto cui esso si cela. Invece io ho messo la sostanza davanti alla forma, cosa che denota, senza dubbio alcuno, un’intelligenza brillante che a lui è sempre mancata. Lui si è fatto guidare – e continua chiaramente a farlo – dal ragionamento apparentemente inoppugnabile del pazzo che si trascina dietro una fune perché non può spingerla. Perciò, se gli chiedi: “Senti, ma perché diamine vuoi scolarti tanto whisky?”, lui risponderà semplicemente: “Per morire da artista, amico”. Eppure, in questa risposta data in modo così enfatico, gli sfugge qualcosa: il fatto che, comunque sia, la sua morte può definirsi artistica in quanto manca di un fine, del motivo per il quale si produce, non per il modo in cui avviene. Insomma, forse non vale la pena di lambiccarmi tanto il cervello…

Il mio amico bevitore di whisky ci riceve nella sua abitazione, molto allegro, tutto in ghingheri come se fosse pronto per andare a un matrimonio. Porta subito due sedie e le sistema accanto al muro, a qualche metro dal suo letto – in stile cinema. Dopo averci invitato a prendere posto, con fare altrettanto gioviale, soddisfatto, tira fuori da sotto il letto un secchio pieno di liquore scuro e ce lo piazza davanti.

Qualche tempo addietro, saranno passati cinque anni o più, in occasione di un compleanno al quale ero stato invitato da un cugino che vive in campagna, ci sbronzammo tutti così tanto che, al risveglio, nessuno di noi ricordava granché di cosa fosse successo durante la festa. Certo è che il mattino dopo né io né gli altri ospiti, tutti ugualmente esterrefatti, riuscimmo, e per parecchi minuti, a distogliere lo sguardo dal cavallo che nitriva, tranquillo e beato, nel bel mezzo del salone di mio cugino. E mentre gli altri si chiedevano come diavolo avesse fatto un cavallo a finire in casa e chi mai l’avesse preso dalla stalla, io, in preda all’ammirazione, assaporavo con avidità la percezione del contrasto esistente fra quei tappeti pregiati e lo sterco disseminato qua e là, fra il cavallo che nitriva e i soprammobili della credenza. Nel momento in cui fecero uscire l’animale dalla porta, mi sentii avvolto da una sensazione difficilmente spiegabile.



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