La dieta sono io by Luca Doninelli
autore:Luca Doninelli [Doninelli, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2019-02-14T23:00:00+00:00
I mutamenti del corpo
Via via che i chili se ne vanno il nostro corpo cambia, dentro e fuori. La parte fuori si vede, quella dentro si sente. Piano piano, cominciamo non solo a vederci, ma a sentirci diversi. Cosa sta succedendo? Succede che stiamo uscendo dal cerchio del vizio, che il nostro corpo sta rientrando nella Grande Società dei corpi umani, che il nostro corpo torna a potersi paragonare con gli altri corpi. Succede che io non sono più necessariamente “il più grasso qui dentro” (treno, autobus, aereo, caseggiato, ufficio, scuola...). Sono tornato a essere un corpo tra i corpi, quel mondo a parte – pericoloso, bizzarro, talora simpatico, originale ma profondamente triste – adesso è più lontano, e io so di avere la possibilità di non tornarci più.
Allo specchio. Il primo paragone che un obeso evita non è con gli altri: è con sé stesso. Quando pesavo 140 chili evitavo di guardarmi allo specchio. Se passavo davanti a uno specchio mi affrettavo a cambiare direzione. Mi infastidiva soprattutto vedermi di profilo. Se visto di fronte o da dietro potevo non apparire enorme, di profilo ero mostruoso. Era uno shock continuo per me stesso. La mia pancia era orribilmente prominente. Avevo difficoltà ad abbracciare qualcuno. Sull’aereo mi è capitato di chiedere il supplemento di cintura per poterla chiudere, e mi specchiavo negli occhi indulgenti (ma nei quali intravedevo una nota beffarda) della hostess. Temevo le porte a due ante, quelle di cui basta aprirne una per passare agevolmente. Tutti passavano senza porsi nessun problema, io invece non riuscivo a passare né per dritto né (peggio ancora) per traverso, ed ero costretto ad aprire l’altra anta, il cui paletto era spesso arrugginito, tanto quell’anta era abituata a restarsene chiusa, e produceva un rumore stridente che echeggiava in tutta la casa, così che spesso qualcuno domandava: cos’è successo? Non mi guardavo allo specchio perché sapevo quanto fosse inguardabile la mia pancia, che ricadeva in avanti creando un solco, appena sopra l’inguine, che ai primi caldi, con il sudore che vi ristagnava, si arrossava e mi faceva male.
Il fastidio di me stesso era il segno certo di una specie di autoesilio. Se la persona obesa cerca di dimenticare il proprio corpo, e anzi sogna di non avere più un corpo, non è per la condanna degli altri – che solitamente sono molto più indulgenti – o comunque non principalmente per questo. Un tribunale di cui non ci rendiamo coscienti, ma che esiste, e si trova dentro di noi, ci condanna.
Con la perdita di peso ci si torna a guardare allo specchio per constatare i lenti ma ben visibili progressi. Ridiventiamo visibili a noi stessi. Dopo aver perso 20 chili mi guardai bene allo specchio e mi dissi che ero un ciccione schifoso. Fu un grande momento, anche se lì per lì non ero molto soddisfatto, ma me ne resi conto subito dopo: avevo riacquistato il mio corpo, non mi evitavo più, adesso mi guardavo e (giustamente) non mi piacevo: 120 chili per 1,77 metri sono troppi.
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