La dittatura del calcolo by Paolo Zellini

La dittatura del calcolo by Paolo Zellini

autore:Paolo Zellini [Zellini, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


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Quanto grande può essere il finito?

Possiamo confrontare le questioni sollevate dalla teoria della complessità computazionale con la nostra capacità di prolungare all’infinito l’atto di contare. Georg Cantor dimostrò che gli insiemi infiniti sono tanti, articolati in una gerarchia illimitata in cui ogni insieme è più grande di quello che lo precede. Da allora l’atto di contare poté estendersi e riorganizzarsi in una profusione sbalorditiva di numeri e di insiemi. Con la sua teoria Cantor aveva cercato di rispondere alla domanda: quanto grande può essere l’infinito?

Per dare un fondamento sicuro alle teorie di Cantor, Hilbert, lo ricordiamo ancora, intendeva sostituire i metodi deduttivi basati sull’infinito con procedimenti finiti che dessero gli stessi risultati, cioè che rendessero possibili le stesse dimostrazioni e gli stessi metodi per ottenere formule e teoremi. Ad esempio, come dimostrare che per ogni coppia di numeri interi positivi n e m si ha n + m = m + n senza assumere che i numeri formano un insieme infinito?

Come è noto il programma di Hilbert non andò a buon fine, e lasciò aperte diverse questioni, tra cui la seguente: che cosa si intende propriamente per «procedimenti finiti»? Una risposta venne dalla teoria del calcolo ricorsivo. Hilbert non definì precisamente che cosa fossero i procedimenti finiti, ma un’ipotesi plausibile, avanzata da William W. Tait, è che questi si basassero sul «modo di pensare ricorsivo». Negli anni in cui la crisi dei fondamenti faceva vacillare le certezze matematiche, Thoralf Albert Skolem, in un fondamentale articolo del 1923, aveva dimostrato come si poteva fondare l’aritmetica proprio sul calcolo ricorsivo. Skolem si era collegato al principio di Leopold Kronecker, il grande avversario di Cantor, che riteneva una definizione matematica accettabile solo se era in grado di raggiungere il suo obiettivo per mezzo di un processo finito. Il concetto di «funzione primitiva ricorsiva» forniva allora un naturale modello di riferimento per un tale processo. Ogni funzione effettivamente calcolabile sugli interi sembrava costruibile con un numero finito di passi, per mezzo di una composizione gerarchica di operazioni, iniziando dalla funzione identità e dall’operazione che associa ad ogni numero naturale n il suo successivo n + 1. È curioso tuttavia il fatto che la ricorsione primitiva, introdotta essenzialmente da Dedekind nel 1888, rispondesse al tentativo di calcolare, ovvero di costruire effettivamente l’infinito, con la stessa tecnica diagonale usata da Paul Du Bois-Reymond nelle sue ricerche sulla crescita delle funzioni. Nei risultati di Du Bois-Reymond, lo ricordiamo, Borel aveva avuto ragione di riconoscere uno dei modi più convincenti per introdurre quella numerazione transfinita che Cantor avrebbe scoperto per altre vie, studiando le proprietà di convergenza delle serie trigonometriche.

I procedimenti finiti a cui Hilbert intendeva ricondurre il calcolo dell’infinito sarebbero stati in seguito, in modo più chiaro ed esplicito, gli algoritmi. Fu così che una scienza degli algoritmi, della quale affiorarono pian piano, dai primi anni del Novecento, tutte le formidabili implicazioni, finì per ereditare alcune delle principali questioni poste dalle teorie matematiche dell’infinito. Divenne allora ineludibile la domanda: quanto grande può essere un insieme finito? E



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