La funesta docilità by Salvatore Silvano Nigro

La funesta docilità by Salvatore Silvano Nigro

autore:Salvatore Silvano Nigro [Nigro, Salvatore Silvano]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838938566
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2018-10-17T22:00:00+00:00


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Molte immagini si ritirano e vivono clandestine nella prosa del romanzo di Manzoni, indipendentemente dalle illustrazioni. Bisogna inseguirle, di variante in variante, lungo il percorso delle redazioni dell’opera. E interrogarle. Fermo, accompagnato da Toni e Gervaso, arriva davanti all’osteria. Il vano della porta è semiostruito: «colla schiena appoggiata ad uno stipite, colle mani sotto le ascelle, coll’occhio teso, e con una faccia tra l’annojato e l’agguatante, stavasi un uomo che non aveva cera né di contadino, né di viaggiatore, né di benestante; non pareva uno sfaccendato, ma non si sarebbe potuto immaginare che faccenda egli s’avesse. Un uomo più sperimentato di Fermo, guardandolo attentamente l’avrebbe detto un servo travestito. Questi non si mosse, e mirò fisamente Fermo, il quale si torse entrando per fianco della piccola apertura lasciata da quella cariatide. I suoi compagni l’imitarono se vollero entrare» (Fermo e Lucia, I, 7).

La «cariatide» è un bravo di don Rodrigo. Tiene le «mani sotto le ascelle». Negli Sposi Promessi, la stessa «cariatide» cambia posa. Ora ha «le braccia incrocicchiate sul petto». La Ventisettana conferma la variante. Aggiunge però un movimento d’occhi, dantescamente qualificati «grifagni» (tali e quali quelli di Giulio Cesare, nel canto IV dell’Inferno: «Cesare armato con li occhi grifagni»): «sguaraguatava a dritta e a sinistra, facendo lampeggiare ora il bianco, ora il nero di due occhi grifagni». I Promessi Sposi definitivi concordano con la Ventisettana, e tutto ratificano con l’illustrazione. A revisione linguistica avvenuta, cambia solo il vocabolario: «incrocicchiate» diventa «incrociate»; «sguaraguatava» si scioglie in «guardava e riguardava».

L’impressione è che Manzoni abbia fatto rigirare negli occhi due immagini ben precise, in apparenza contrastanti; e che ne abbia scelta e focalizzata una sola, a partire dagli Sposi Promessi.

Nella Quarantana, una vignetta introduce due cariatidi vere, di pietra (capitolo XXXIV). Sorvegliano il portone della casa di don Ferrante. Hanno le «mani sotto le ascelle», come il bravo del Fermo e Lucia. La facciata dell’abitazione di don Ferrante corrisponde, nella realtà dell’architettura milanese, alla Casa degli Omenoni di metà Cinquecento. Se si allarga la visuale dell’illustrazione, si scopre che le due cariatidi hanno, a destra e a sinistra, due coppie di tre telamoni: Vasari li chiama «sei prigioni», michelangiolescamente. Nel Seicento, il «casotto» dava il nome alla contrada: «dicesi dell’Aretino, perché Leon Leoni Aretino vi dimorava il secolo passato; il valore di quell’ingegno in Iscultura, in Pittura, ed in Getti, reselo ammirato per tutta Europa... e se ne volete presenzialmente delle sue rare qualità visibile attestato mirisi da voi sua Casa, essendo quella che espone entro la Facciata otto Colossi di vivo sasso in atto di sostenere i rilevati ornamenti d’essa, altresì di sasso in ordine Dorico fin sotto i tetti, d’Architravi, di Fregi, di Cornici, di Colonne, e di Lesene; all’erezione di questo Palazzetto veggevansi gareggianti tutti gl’Ingegni, che trafficavano in Milano ne’ suoi tempi eccellenti questi in Pittura, e quegli in Scultura, trattandosi di servire così stimato Virtuoso: Antonio Abondio detto l’Ascona celebre Scalpellista caro al Re Francesco di Francia... fece egli gli otto accennati Colossi; se poi entro



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