La Gran Bretagna dopo la Brexit by Gianfranco Baldini

La Gran Bretagna dopo la Brexit by Gianfranco Baldini

autore:Gianfranco, Baldini [Baldini, Gianfranco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Politica, Ricerche e studi dell'Istituto Carlo Cattaneo
ISBN: 9788815329646
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-09-14T22:00:00+00:00


La risposta breve a questo interrogativo è la seguente: perché veniva considerato inadeguato a gestire le priorità politiche – cioè economia e immigrazione – dalla maggioranza dell’elettorato al momento del voto e, più in generale e fin dal 2010, come di gran lunga meno adeguato di Cameron come possibile primo ministro. In un contesto in cui contano sempre meno le appartenenze di classe e sempre più il cosiddetto valence voting[8], il margine di distacco che Cameron conservò su Miliband in tutti i cinque anni di governo sulle due issues principali [restando indietro solo sulla terza, la sanità: Denver 2015] raccontava una storia molto diversa rispetto a quella dei sondaggi, che vedevano i due partiti testa a testa ancora il giorno prima del voto. Miliband mostrò fin dall’inizio diverse incertezze sulla linea da tenere, ansioso di liberarsi dell’eredità del New Labour, ma allo stesso tempo incapace di fornire alternative credibili all’elettorato sui problemi più rilevanti del paese.

La risposta più articolata richiede invece di analizzare come Miliband è diventato leader del partito e in che modo l’ha guidato per cinque anni. Il punto di partenza è il seguente: la sua leadership è stata più volte messa in dubbio, dentro e fuori il partito, anche se mai apertamente sfidata [Bale 2015]. E questo non soltanto perché regole il cui obiettivo era quello di democratizzare il processo di selezione della leadership avevano in realtà reso il leader meno facilmente sfidabile [Quinn 2015], ma anche e soprattutto perché la successione a Brown era stata un affare di famiglia, nel quale Ed aveva prevalso sul fratello David – già capo della Policy Unit di Blair dal 1994 al 2001, poi ministro degli Esteri di Brown – chiaramente più associato al New Labour, e quindi fortemente osteggiato dai sindacati [Jobson e Wickham-Jones 2011].

Proprio i sindacati, a dimostrazione del fatto che il loro ruolo segue una sorta di pendolo con fasi di maggiore impatto e fasi di relativa marginalità, tendenzialmente corrispondenti ai momenti in cui – rispettivamente – il partito sceglie di rivendicare la propria identità di sinistra ovvero accetta di scivolare verso il centro per aumentare i propri consensi in ottica office-seeking, sono stati decisivi nell’elezione di Ed Miliband a leader del Labour. Più nel dettaglio, nel 2010 l’esito del voto nella terza sezione del collegio elettorale – quella riservata agli affiliati al partito tramite sindacato – ha ribaltato i risultati consolidatisi nella prima (membri del parlamento nazionale e del parlamento europeo) e nella seconda (iscritti al partito). Si è dunque giunti al paradossale risultato che il candidato più votato tanto tra gli iscritti quanto tra gli eletti – David Miliband – ha ceduto il passo a suo fratello Ed, preferito unicamente dagli iscritti ai sindacati affiliati al Labour. Detto altrimenti, è stata chiaramente smentita l’aspettativa – ipotizzata in seguito all’abolizione del block vote – secondo la quale i sindacati avrebbero contato molto di meno nell’elezione del leader del partito.

Ciò è stato possibile principalmente per tre ragioni: innanzitutto, e differentemente da quanto accaduto in occasione dell’elezione di



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