La melanconia by Roberto Gigliucci

La melanconia by Roberto Gigliucci

autore:Roberto Gigliucci [Gigliucci, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
ISBN: 9788858648605
Google: YR3D-h-Wf2EC
editore: Bur
pubblicato: 2013-06-23T22:00:00+00:00


MELANCONIA SACRA E PROFANA

L’iconografia della Maddalena penitente e melanconica è davvero ampia nei secoli. Da Giotto alle morbidezze di Tiziano, Guercino, Furini,Vouet, Reni, dal chiaroscuro sognante di De La Tour fino all’aspra ascesi del marmo di Canova (per un quadro sintetico vd. Fiaschini 2007 p. 102; Eusebio in Brignole 1994, introduz. pp. XXXI-XXXIV). Anzi, si può dire che l’immagine della Maddalena in penitenza finisce col coincidere a pieno con l’effigie della Melanconia stessa, e basti pensare alle Maddalene di Domenico Fetti e alla sua celebre Melanconia (vd. Domenico Fetti, pp. 105-107, 124-127, 157; Klibansky Panofsky Saxl 2002, pp. 363 sg.). Anche in campo letterario, stando fra Cinque e Seicento, il tema della Maddalena è frequentato spesso, dalle Lagrime di Santa Maria Maddalena di Erasmo da Valvasone al poemetto del 1610 e alla sacra rappresentazione del 1617 di Giovan Battista Andreini (vd. Fiaschini 2007 e Andreini 2006). Noi scegliamo un brano della prosa sacro-romanzesca del genovese Brignole Sale, la cui Maddalena uscì in prima edizione nel 1636:595 si tratta del momento della solitudine e dell’ascesi della convertita, in un paesaggio che spira tutto «malinconia», ma non nel senso di mesta dolcezza, sì nel senso di una asperitas spesso dantesca (si veda lessico quale «grommato», «ronchioso» ecc.) cui corrisponde una scarnificazione del corpo già “succoso”, molle e rosato della peccatrice, in cui non a caso si evidenziano ora le vene, segno precipuo della semeiotica fisiologica melanconica. La gonfiezza didattica dello stile di Brignole (di lontana derivazione aretiniana con la mediazione del Marino delle Dicerie) enfatizza il dato melanconico-penitenziale come salvifico, nella linea di una tristitia feconda, non disperante, secondo la divaricazione già paolina (II Lettera ai Corinzi 7, 10 e vd. sopra, note a Cassiano).

Sul versante della melanconia orrida (e profana in quanto peccaminosa) si pone invece il campione della prosa barocca italiana, Daniello Bartoli. Ci riferiamo al capitolo sull’effigie del melanconico in Dei simboli trasportati al morale Libri tre (1677),596 in cui l’uomo atrabiliare risulta sconquassato da un male che egli stesso ha scelto e da cui colpevolmente non vuole liberarsi. Anche Tommaso Campanella (Del senso delle cose e della magia, in italiano nel 1604) deprezzava fortemente la melanconia: «La malinconia, ch’è feccia nera di sangue arso, non è causa di sagacità e d’antivedere, come molti si sforzano mostrare (e Ficino in particolare) […]. Dunque io dico che il tetro e negro umore misto col sangue genera spiriti orribili e, se non si purga il sangue, fa licantropia e paure e pensieri brutti, che si veggono gli uomini smaniare e dilettarsi delli luoghi fetidi e lordi, delle sepolture e cadaveri, perché lo spirito infetto desidera cose simili a lui, e questi spesso sono indemoniati». Tuttavia lasciava la possibilità di una melanconia “sagace”, quando «il sangue è ben cotto» e gli spiriti sono «sottili e passibili assai», e allora il melanconico può anche «antivedere», è acuto, scienziato, però di poca memoria e, quando è allegro, talora pure buffone (cap. 10).

Per Daniello Bartoli invece il melanconico è carnefice di se stesso e perciò non ha scuse per il suo soffrire e il suo morire.



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