La mia montagna futura by Peter Habeler & Marlies Czerny

La mia montagna futura by Peter Habeler & Marlies Czerny

autore:Peter Habeler & Marlies Czerny [Habeler, Peter & Czerny, Marlies]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2023-09-25T20:36:57+00:00


Al campo base, Habeler non condivideva la tenda con Messner: ciascuno aveva, in nome del comfort, il proprio tetto svolazzante sulla testa. Ma la prima notte ai piedi dell’Everest Habeler non chiuse occhio. Udiva il profondo respiro della montagna. Il tuonare e il frusciare della tempesta, che sferzava come una frusta su una costa ripida, i lamenti crepitanti e i gemiti del ghiacciaio del Khumbu, che è sempre in movimento e che pochi giorni dopo avrebbe seppellito per sempre, sotto i suoi detriti, uno sherpa. «Quella prima notte, al chiuso nella mia tenda, venni assalito dalla paura» confessa Habeler. A confronto con tale forza della natura, si sentiva piccolo come non mai. L’indomani, come prima cosa appese le foto della sua amata e di suo figlio ai pali della tenda. E subito si sentì più protetto. Peter pensava spesso a loro, specialmente quando era costretto a stare seduto e fermo. Quando spuntò il sole, la paura venne spazzata via insieme all’oscurità, lasciando spazio per la prima volta all’eccitazione per il progetto.

Durante le loro prime ascensioni per acclimatarsi anche con il trasporto del peso, Habeler si prese una terribile intossicazione alimentare. Al campo III, sopra la sicura parete del Lhotse, vomitò l’anima, dopo aver mangiato direttamente dalla lattina delle sardine sott’olio che si erano congelate. Sfinito, scese al campo base, mentre Messner proseguiva in una giornata di tempo splendido. Nella notte che Messner trascorse in una tendina minuscola sul Colle Sud a 7900 metri, esplose una tempesta feroce che lo travolse insieme ai suoi due sherpa, Mingma e Ang Dorje. Rimasero prigionieri del vento ululante per ben due giorni. Messner si diede da fare in ogni modo per tenere i due sherpa in vita mentre combatteva la stessa battaglia per sé. «In quelle ore, sono invecchiato di anni» scrisse successivamente in uno dei suoi libri.

Quella notte esplosiva al Colle Sud rinforzò comunque la decisione del sudtirolese. In cambio, i nervi di Habeler erano sempre più tesi. Mentre i disturbi intestinali l’avevano messo fuori combattimento per un paio di giorni, lui se ne stava in tenda a leggere le lettere di Regina, che l’avevano raggiunto dal campo base. A ogni falso movimento, la condensa gelata accumulata sui teli interni della tenda colava sulla lettera e sulle righe che lo prendevano di più: «Ti pensiamo tanto, tanto, tanto e ogni giorno accendo la candela del nostro matrimonio affinché possiamo essere uniti attraverso questa luce».

I dubbi di Peter aumentavano. L’aveva notato anche Oswald Oelz. «Da una parte Peter era un alpinista pazzescamente bravo e spensierato, dall’altra si preoccupava un po’ per la sua giovane famiglia. Non voleva abbandonarla, a nessun costo.» Tutt’altro era il mood di Reinhold Messner che si era separato da pochi mesi dalla prima moglie. Lui non sentiva di dover rendere conto a nessuno. «Reinhold ha portato sull’Everest una self confidence mostruosa» osserva Oelz «che ha poi trasmesso anche a Peter. Lo coinvolse con questa energia tremenda. I due erano un team perfetto: due geni dell’alpinismo, che si accendevano l’un l’altro. Quando uno non aveva più voglia, allora era l’altro a tirare, e viceversa.



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