La non-violenza. Una storia fuori dal mito (2014) by Domenico Losurdo
autore:Domenico Losurdo [Losurdo, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2014-08-01T22:00:00+00:00
4. Lâazione diretta come sinonimo di violenza?
Al di là degli obiettivi politici, il dibattito e le critiche investivano anche le forme di lotta. Il 12 aprile 1963, i ministri di culto bianchi di Birmingham chiedevano a King di metter fine alle manifestazioni di massa contro la segregazione, da essi definite «imprudenti e intempestive»; sul versante opposto erano elogiate le forze di polizia «per aver mantenuto âlâordineâ e âimpedito atti di violenzaâ» (K, 188 e 203/190 e 204). Dal carcere King rispondeva:
Nel vostro documento dichiarate che le nostre azioni sono da condannare perché, sebbene pacifiche, determinano lo scoppio della violenza. Ma una simile asserzione è davvero logica? Non è un poâ come condannare lâuomo rapinato perché il fatto di possedere del denaro ha determinato lâazione malvagia della rapina? (K, 195/198).
Il paragone non era calzante: il rapinato non commette alcun reato né tanto meno fa appello a una disobbedienza civile di massa. Lâargomento dei ministri di culto bianchi si comprendeva agevolmente: una violazione della norma giuridica esistente, effettuata su larga scala e propagandata con ogni mezzo, e dunque configurantesi come una sfida pubblica e persino come una provocazione allâautorità esistente, non poteva non provocare lâintervento delle forze dellâordine. Agli organizzatori delle manifestazioni di Birmingham non era lecito ignorare le conseguenze dellâazione diretta di disobbedienza civile da loro promossa ed essi erano dunque da considerare corresponsabili delle violenze che ne erano scaturite.
E, tuttavia, dal punto di vista di King, la critica a lui rivolta aveva il torto di esigere il rispetto superstizioso di ogni legge, anche di quella più ingiusta:
Ci sono due tipi di legge: giuste e ingiuste. Sarei il primo a invocare lâosservanza delle leggi giuste [...] Di converso, abbiamo anche la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste: io concorderei con SantâAgostino nel ritenere che «una legge ingiusta non è legge» (K, 193/195).
Stando così le cose, ben lungi dallâessere moralmente illecita, la violazione della ramificata legislazione che continuava a discriminare, opprimere e umiliare i neri, era doverosa. Il livello della sfida alle norme vigenti e allâautorità costituita chiamata a farle rispettare si innalzava ulteriormente: era la conferma, agli occhi dei ministri di culto bianchi, che in qualche modo lâazione diretta metteva in conto la violenza. Dâaltro canto, a conferma della sua tesi, in base alla quale le leggi non vanno sempre rispettate, King affermava:
Nel nostro stesso paese, il «Tè di Boston» ha rappresentato un gesto di disobbedienza civile su vasta scala. Non dovremmo mai dimenticare che [...] tutto quello che hanno fatto in Ungheria i combattenti [anticomunisti] per la libertà era «illegale» (K, 194/196-97).
Il campione statunitense della non-violenza finiva così col richiamarsi a due insurrezioni, quella americana e quella ungherese, che certo non potrebbero essere definite pacifiche.
In effetti, lâappello allâazione diretta assume talvolta in King toni che si direbbero rivoluzionari:
Neppure potenti eserciti potrebbero fermarci [...] Marciamo sugli alloggi a regime segregazionista finché tutti i ghetti della depressione sociale ed economica si siano dissolti e negri e bianchi possano vivere fianco a fianco in alloggi decorosi, sicuri e salubri.
Marciamo sulle scuole a
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