La ragazza della montagna by Veronica Del Vecchio

La ragazza della montagna by Veronica Del Vecchio

autore:Veronica Del Vecchio [Veronica Del Vecchio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2023-01-14T23:00:00+00:00


Ottobre 1944, Grand Hotel Gardone, Gardone Riviera, Italia

Una voce brusca mi riscuote.

Apro gli occhi. C’è un’infermiera che mi parla in tedesco. Non è la stessa donna della sera prima, ne sono sicuro. I suoi gesti sono rudi e scoordinati. Lascia con disattenzione un vassoio sul comodino. Qualche fetta di pane e una ciotola fumante.

Alzo il busto e provo a sporgermi per afferrare la cena.

«Ehi». Una voce rompe il silenzio non appena l’infermiera esce.

Volto la testa. Il ragazzo giovane si è tirato in piedi. L’altro è seduto sul letto, e mi guarda.

Entrambi si girano continuamente verso l’entrata.

«Are you English?».

Io scuoto la testa, non capisco.

«American?»

«Cosa?»

«Damn. Italian», impreca il più grande dei due.

Sono inglesi, o americani, questo l’ho capito, ma mi domando cosa ci facciano in questo ospedale. Poi capisco: prigionieri. E questo spiega anche la presenza della guardia tedesca davanti alla nostra porta. Dove li avranno catturati?

Quello seduto è ferito alla gamba, una ferita molto simile alla mia, l’altro invece ha il braccio e la testa fasciati, ma tutto sommato sembrano stare bene.

Il ragazzo giovane si avvicina, mi porge la mano.

«Sergeant John Hoaen».

«Captain Davies Reams», mi fa un cenno l’altro da lontano.

«Alberto», mormoro, lasciando andare controvoglia il pane e ricambiando la stretta di mano.

Non so perché decido di mentire sul mio nome utilizzando quello di un compagno. Forse è perché quel tale, Hoaen, somiglia così tanto ad Alberto.

«Soldato semplice, divisione granatieri Lit…», mi blocco.

In realtà sono stato soldato, poi internato e prigioniero, e di nuovo arruolato. Aspirante disertore, ma alla fine solo infermo e ferito.

Non credo che a loro interessi la mia storia, e non so neppure come raccontargliela. Qualche gesto non basta per l’intensità e l’immensità di una vita.

«Alberto», ripete il sergente, masticando il mio presunto nome tra i denti, come a volerlo ammorbidire. «Are you a soldier or a prisoner?».

Io continuo a non capire e mi rendo conto di guardarli con sguardo vacuo e ridicolo.

Lui mi porge nuovamente la domanda, poi scuote la testa e si arrende.

È il capitano che ci prova di nuovo. Mi indica e dice: «Tu, tedeschi».

Io scuoto la testa. Non sono tedesco, mi pareva avessimo già definito le nazionalità.

Il capitano Reams percepisce la mia confusione, così ci riprova. Tra un gesto, una parola in inglese e una stentata in italiano, riesce a spiegarsi meglio e a domandarmi se sono alleato con i tedeschi o se sono un prigioniero.

«No», butto lì, incerto a quale delle due domande il mio no corrisponda. Sono entrambi, e non sono nessuno. Poi decido di mostrare le mani a pugno, sovrapposte l’una all’altra a indicare prigionia, e ancora non so perché scelgo la menzogna. Dopotutto non ho fatto altro dall’inizio di questa guerra, mi sembra corretto continuare sulla strada della coerenza.

Loro si scambiano un cenno d’intesa e sorridono sollevati. Guardano ancora sospettosi alle loro spalle, ma il tedesco ritto vicino allo stipite della porta non sembra sentirci. Loro ne approfittano per scambiarsi qualche frase a bassa voce, discutono veloci e concitati e ogni tanto buttano l’occhio verso di me. Credo di essere l’oggetto della loro discussione.



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