La Regina Scalza by Ildefonso Falcones

La Regina Scalza by Ildefonso Falcones

autore:Ildefonso Falcones [Falcones, Ildefonso & Bovaia, Roberta & Sichel, Silvia]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B00F3CLX7E
editore: Longanesi
pubblicato: 2013-11-10T23:00:00+00:00


«Vieni qui, negra», le ordinò José Carmona.

Caridad smise di arrotolare il sigaro. Lavorava per José più o meno dal giorno in cui, dopo i festeggiamenti per le nozze, il Conde si era categoricamente rifiutato di accoglierla dai García, come Milagros le aveva promesso. Commosso dal pianto della figlia, José l’aveva accolta in casa sua, anche se Caridad sospettava che le lacrime dell’amica non fossero dovute alla loro separazione, ma allo schiaffo con cui la Trianera aveva messo a tacere i lamenti e le proteste della ragazza in quella che sarebbe stata la sua nuova casa. José si era procurato delle foglie di tabacco da farle arrotolare, in modo che Caridad contribuisse alle sue misere entrate. Non era passata nemmeno una settimana quando la chiamò a scaldargli il letto.

«Non mi hai sentito, negra?»

Le abili dita di Caridad si contrassero sulla foglia con cui stava chiudendo il sigaro. Quelle esterne erano le più importanti, quelle sulle quali l’acquirente si concentrava al momento della scelta. Non avrebbe mai fatto l’errore di rovinare una bella foglia di tabacco scelta con tanta cura, eppure, come se le sue dita agissero per volontà propria, guardò basita le unghie che si piantavano tra le nervature, spezzandola.

Si alzò dal tavolo di lavoro e raggiunse il pagliericcio su cui si trovava José Carmona. Sapeva che l’avrebbe toccata, l’avrebbe penetrata, magari contro natura, si sarebbe lamentato per l’ennesima volta della sua apatia – «Dà più soddisfazione montare una mula, mi sa», le aveva detto l’ultima volta –, e alla fine si sarebbe messo a russare avvinghiato a lei.

Serrando i denti, Caridad si tolse la camicia da schiava e, con gli occhi umidi, si stese accanto al gitano. José affondò la testa tra i suoi seni, mordicchiandole i capezzoli. Le faceva male, ma non provò neanche a fermarlo; meritava quel castigo, si ripeteva una notte dopo l’altra. Caridad era cambiata. Se fino a quel momento certe cose la lasciavano indifferente – passare da un uomo all’altro, come la bestia che l’avevano costretta a diventare nelle piantagioni di tabacco –, ora la colmavano di disgusto. Stava tradendo Melchor! José Carmona la toccava ovunque, senza nemmeno accorgersi di quanto Caridad si fosse irrigidita. Che fine aveva fatto Melchor? Molti, compresa Milagros, lo davano per morto. Le voci di un regolamento di conti tra contrabbandieri in cui si diceva che fosse rimasto coinvolto erano arrivate fino a Triana, ma nessuno aveva certezze. Tutti si limitavano a riportare brandelli di notizie riferite da altri che, a loro volta, le avevano raccolte da terzi. Caridad però lo sapeva che Melchor non era morto. José non le permetteva di cantare, diceva che i canti dei neri lo annoiavano, ma aveva rinunciato a impedirle di intonare sottovoce quelle melodie, che insieme al profumo del tabacco la riportavano alle sue origini. Così, mentre lavorava, Caridad canticchiava, immaginando che l’uomo sdraiato dietro di lei fosse Melchor. Nelle notti più cupe, quando José dormiva profondamente, cercava i suoi dei: Oshún, Oyá, Elegguá... colui che dispone a suo piacimento della vita degli uomini, colui che le aveva mandato Melchor, quando lei agonizzava sotto quell’albero d’arancio.



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