La Saga Di Earthsea by Ursula K. Le Guin

La Saga Di Earthsea by Ursula K. Le Guin

autore:Ursula K. Le Guin [Guin, Ursula K. Le]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Nord
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


NOMI

Arha ricondusse Manan attraverso i tortuosi percorsi, nell'oscurità, e lo lasciò nella tenebra della cripta, a scavare la fossa che doveva comprovare a Kossil l'avvenuta punizione del ladro. Era tardi, e lei andò direttamente nella Casa Piccola, a letto. Nella notte, si svegliò all'improvviso: ricordò di aver lasciato il mantello nella Camera Dipinta. Lui aveva solo la corta mantellina per riscaldarsi in quella cripta umida, né altro letto che la pietra polverosa. Una fredda tomba, una fredda tomba, pensò dolorosamente Arha; ma era troppo stanca per svegliarsi del tutto, e ben presto ripiombò nel sonno. Cominciò a sognare. Sognò le anime dei morti sulle pareti della Camera Dipinta, e le figure simili a grandi uccelli scarruffati, con mani e piedi e volti umani, acquattati nella polvere dei luoghi tenebrosi. Non potevano volare. L'argilla era il loro cibo, e la polvere la loro bevanda. Erano le anime dei non rinati, i popoli antichi e i miscredenti, coloro che i Senza Nome avevano divorato.

Stavano acquattati tutti intorno a lei, nelle ombre, e di tanto in tanto emettevano un lieve suono pigolante, o uno scricchiolio.

Uno le venne vicinissimo. In un primo istante lei ebbe paura e cercò di ritrarsi, ma non riuscì a muoversi. L'essere aveva una testa di uccello, non un volto umano; ma i suoi capelli erano aurei, e diceva, con voce di donna, «Tenar», dolcemente, affettuosamente, «Tenar».

Si svegliò. L'argilla le ostruiva la bocca. Giaceva in una tomba di pietra, sottoterra. Aveva le braccia e le gambe avviluppate nel sudario, e non poteva muoversi né parlare.

La disperazione divenne così grande che le squarciò il petto e come un uccello di fuoco infranse la pietra ed eruppe nella luce del giorno... la luce del giorno, fievole nella sua stanza priva di finestre.

Veramente sveglia, questa volta, si sollevò a sedere, esausta dai sogni della notte, con la mente obnubilata. Indossò le vesti, e poi andò alla cisterna del cortile recintato della Casa Piccola. Immerse le braccia e il volto, e poi tutta la testa, nell'acqua gelida, finché tutto il corpo sussultò per il freddo, e il sangue riprese a scorrere tumultuoso. Poi, ributtando all'indietro i capelli sgocciolanti, si risollevò, e alzò lo sguardo verso il cielo mattutino.

Non era trascorso molto tempo dal levar del sole, ed era una bella giornata invernale. Il cielo era giallognolo, limpidissimo. Lassù in alto, così alto che rifletteva la luce del sole e ardeva come una pagliuzza d'oro, un uccello stava volando in cerchio, un falco o un'aquila del deserto.

- Io sono Tenar - disse lei, ma non a voce alta; e tremava di freddo e di terrore e di esultanza, là sotto il cielo spalancato, inondato dal sole. - Ho riavuto il mio nome. Io sono Tenar!

La pagliuzza d'oro volteggiò verso occidente, verso le montagne, e scomparve alla sua vista. L'aurora indorava le gronde della Casa Piccola. Le campanelle delle pecore tintinnavano, laggiù negli ovili. Gli odori del fumo di legna e della crema di grano uscivano dai comignoli della cucina e aleggiavano nel vento fresco e puro.



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