La scienza nascosta dei cosmetici by Mautino Beatrice

La scienza nascosta dei cosmetici by Mautino Beatrice

autore:Mautino, Beatrice [Mautino, Beatrice]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Lontano dal naso e dalla bocca

Quando il treno arriva a destinazione, lo spazio si allarga. Dalla galleria principale se ne aprono diverse, tutte abbastanza grandi, con spazi costruiti per la vita «sociale» dei minatori. «Questa è la mensa» indica la guida, «questo invece è l’ufficio del caporeparto, mentre l’area più grande lì davanti serviva per le manovre e le operazioni di smistamento.» Il museo è stato allestito in quello che era il cantiere prima della dismissione, avvenuta non perché non ci fosse più talco, ma perché le gallerie erano troppo strette. «Ormai ci si deve poter entrare con i camion» mi spiega Barbara mentre ci avviamo verso la parete di talco. «Queste sono miniere fortunate rispetto ad altre. Sono asciutte, hanno poche infiltrazioni d’acqua, non c’è presenza di gas esplosivi» e i minatori stanno mediamente meglio dei loro colleghi di altri siti minerari. Non è sempre stato così, però.

Nell’Ottocento la situazione era paragonabile a quella di certi paesi in via di sviluppo. I minatori lavoravano dieci ore al giorno, senza pause, dormivano nelle baracche in alta quota e stavano lontani da casa per sei mesi, con paghe che definirle basse sarebbe un eufemismo. Le cose sono iniziate a cambiare negli anni di passaggio dalle imprese famigliari alla Talco e Grafite. Parliamo pur sempre di giornate di dieci ore e di paghe che «erano l’equivalente economico di un chilo di cipolle al giorno» mi racconta Barbara mentre aspettiamo il nostro turno per provare a sollevare un perforatore. L’attività del minatore nella miniera Paola era un lavoro di coppia. «Tra di loro si chiamavano “soci” perché la vita dell’uno dipendeva dall’altro» mi spiega Pons. E la vita di una coppia di soci dipendeva dalla coppia precedente. Il lavoro consisteva infatti nel preparare la parete per l’esplosione, forando la roccia e disponendo i candelotti di dinamite. Quando tutto era pronto, il più anziano ed esperto dei due faceva partire l’esplosione. Nell’Ecomuseo hanno registrato le voci e le esplosioni della miniera in attività e le riproducono periodicamente per far vivere le sensazioni ai visitatori. Si sente l’annuncio della carica, l’urlo di liberare la zona in fretta, un silenzio di una decina di secondi e poi un’esplosione forte e intensa. Ti ritrovi a pensare che per provocare un disastro basterebbe che qualcosa vada storto, che un candelotto non si accenda, che le micce non siano sufficientemente lunghe.

Oggi i minatori hanno i classici turni da otto ore a rotazione, con pausa pranzo e un’indennità che viene riconosciuta dopo trent’anni di sottosuolo. Che non sono pochi. «Prendi, per esempio, questo perforatore» mi fa cenno Barbara mentre cerco di sollevare una specie di martello pneumatico che peserà qualche decina di chili, «quando lo azioni fa tantissima polvere. Chi ha lavorato qui fra gli anni Venti e gli anni Sessanta aveva il divieto di utilizzare acqua per abbassare la polvere perché si pensava che rovinasse la qualità del talco, quindi se l’è respirata tutta prendendosi poi la silicosi.» Negli anni successivi, con l’introduzione di misure di sicurezza e un’attenzione



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