La scoperta dell'alba by bruno

La scoperta dell'alba by bruno

autore:bruno [Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2010-10-22T21:20:59.079000+00:00


Ieri, è stata una corsa verso l’alba. Non vedevo l’ora, dormendo, che il mattino arrivasse. Basile avrebbe detto: «Non così presto il Sole con la scopa di rusco dei suoi raggi ebbe spazzato le fuliggini della Notte». Non così presto venne l’alba, quel giorno di agosto. Ma quando venne fu memorabile. Vidi tutti i colori del mondo, un catalogo delle meraviglie. Vidi la potenza del passaggio, la transizione fatta natura e conclusa, ogni giorno, con meritato successo. Fu un’alba speciale per quel giorno speciale. Trovai una email di Lorenzo che diceva, semplicemente:

«Davvero viene mamma? Non ci posso credere ma sono contento. Stella sempre peggio. Peccato che la notte di san Lorenzo sia passata. Scherzo. Ma davvero la strozzerei. Ho bisogno di stare un po’ da solo. Ciao».

Tutto bene, meno l’ultima frase, che non mi piace.

La prima immagine del sito delle notizie è quella di una madre che porta in braccio il corpo straziato di un bambino ucciso. Non ho fatto in tempo a vedere in quale paese sia accaduto. Se quel bambino sia vittima del terrorismo o di un atto di guerra.

Mi colpisce da una notizia riportata dal sito web di «Science». Un gruppo di ricercatori tedeschi ha scoperto che gli iceberg cantano. Cioè che «l’acqua che penetra ad alta pressione nelle crepe fa cantare gli iceberg». E immagino, ora che quelle crepe si stanno allargando per effetto del riscaldamento della terra, che quel canto si faccia ancora più potente e straziato. Un canto d’addio, prima della rottura, prima dello scioglimento nel grande mare. Qualcosa di simile alle musiche composte dai detenuti nei campi di sterminio.

Intanto l’alba è conclusa e io posso tornare da me. È proprio bello il giardino, oggi. Sarà che mi ci sto abituando ma davvero mi sembra che ci siano meno rovi e che l’albero che misura l’altezza sia meno piegato dai rami. Il telefono è lì. Con il suo bravo raggio di sole. Mi attende. Ora chiamerò me stesso. Il viaggio del tempo che ogni volta faccio componendo quel numero magico mi porta, trent’anni fa, al giorno, ormai l’ho capito, immediatamente successivo a quello della telefonata precedente. Ma l’ora no, è imprevedibile. È il tempo bizzarro di una comunicazione impossibile.

Ho davvero paura della telefonata di oggi.

Forse arriverò quando tutti erano in casa e parlavano. Forse al mattino, quando ci si rese conto. E ogni squillo di telefono, quel giorno, sembrava una sirena di salvataggio.

Provai. Mentre componevo il numero sentii un rumore e vidi un gatto passare nel corridoio.

Si fermò un attimo, davanti alla porta della stanza. Bloccò la sua corsa, mi piantò addosso due occhi gialli. Ci contemplammo, immobili, per qualche istante. C’era il pulviscolo, un grande silenzio, un telefono di bachelite nera, un gatto malandrino, un conservatore di diari. Tutti sospesi, come un ricordo. Il gatto riprese la sua corsa pesante e io finii di comporre il numero.

Dopo il primo squillo qualcuno rispose. Era Giovanni, ero io. Sentii una voce concitata e smarrita: «Pronto?».

«Giovanni, sono io» e feci la più crudele delle domande: «Come stai?».



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