La tua famiglia non è il tuo destino by Noémi Orvos-Tóth

autore:Noémi Orvos-Tóth [Orvos-Tóth, Noémi]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2024-03-15T12:00:00+00:00

Possiamo anche esprimerlo nel linguaggio della biologia: al momento in cui nostra nonna veniva abusata, maltrattata o perseguitata, l’ovulo da cui sarebbe nata nostra madre era già presente nel suo corpo. Quella cellula aveva avvertito il picco negli ormoni da stress. Vale lo stesso per le esperienze vissute in gravidanza, tranne che in quel caso le generazioni coinvolte sono tre: la nonna, l’embrione della madre a venire, e l’ovulo che in futuro darà vita a sua figlia. L’immagine riprodotta qui sotto, condivisa recentemente sui social, lo illustra in modo chiarissimo. Il ricordo biochimico delle paure e ansie delle nostre nonne vive dentro di noi a livello cellulare. Qualunque cosa sia accaduta ai nostri avi, le tracce di quelle emozioni riemergono anche nelle nostre vite.

A un incontro di terapia di gruppo, chiedo a ciascuno dei partecipanti di disegnare il proprio albero genealogico, se possibile risalendo fino alla terza o quarta generazione, e di presentare i risultati alla seduta successiva. Una donna estremamente socievole e allegra svolge il compito in modo insolito: traccia l’intero albero di famiglia solo da un lato, lasciando metà del foglio in bianco. Ovviamente è l’assenza a risvegliare la curiosità del gruppo. La donna non ha la più vaga idea di cosa possa simboleggiare quello spazio bianco, così decidiamo di dare all’albero una forma concreta nella sicurezza dell’ambiente terapeutico. La paziente dispone le sedie che rappresentano i parenti solo su un lato della stanza, lasciando l’altro vuoto. Nel giro di poco, si sente smarrita, avvertendo di avere sconfinato in una sorta di «terra di nessuno». Sta malissimo. Ha la nausea, le gira la testa, e teme di svenire. «Cosa c’è su quel lato?» le chiediamo noi. «Qualcosa di sporco e ripugnante» risponde lei. «Qualcosa di indicibile. Qualcosa che ti rovescia lo stomaco.»

Usando il linguaggio più asciutto possibile, condividerò alcuni dettagli del suo trauma famigliare. La nonna stava per partorire quando la guerra aveva raggiunto il suo villaggio. Quasi tutte le donne e ragazze avevano già trovato un nascondiglio sicuro. Lei non ne ebbe la possibilità, e fu sorpresa da soldati russi. Con il pancione e le doglie non poteva scappare. Vari soldati la violentarono, poi la abbandonarono al suo destino. La notte stessa lei diede alla luce il suo bambino ma, ancora sotto shock, non era in condizioni di accudirlo o allattarlo. Per un giorno e mezzo riuscì soltanto a fissare il vuoto, mentre i gemiti del neonato si facevano più fiochi e infine si spegnevano.

Ma ecco un collegamento impressionante: la mia paziente lavora in un orfanotrofio. Ogni giorno accudisce, assiste e coccola bambini abbandonati dalle madri. Oltre ai due figli biologici, ha recentemente adottato una bambina, perché «solo così si realizza la vita». Sembra essersi identificata con la vicenda della nonna, e avere improntato le sue scelte al bisogno di riparare a quella tragedia del passato.

Va sottolineato che il caso di quella nonna è tutt’altro che isolato: si calcola che siano state centinaia di migliaia le donne vittime di stupro durante la Seconda guerra mondiale. Nel libro

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