La Vera Storia Di Carlo Martello by Paolo Villaggio

La Vera Storia Di Carlo Martello by Paolo Villaggio

autore:Paolo Villaggio
La lingua: it
Format: mobi
ISBN: 9788866200895
editore: Dalai Editore
pubblicato: 2010-12-31T23:00:00+00:00


«Perché maestà?»

«E solo un sospetto, ma è il classico scherzo di quella gente lì. Nel caso, bisogna punirlo severamente. Che suggerisci: taglio di una mano?»

«Io propenderei per lo strappo dei testicoli. Oppure taglio con forbici della lingua.»

«Non mi convince… Forse è meglio il taglio della testa, è più risolutivo, ma dopo la battaglia con gli infedeli.»

Non restava che partire. I capimanipolo, nelle varie lingue e accompagnandosi con un gesto imperioso del braccio destro, urlarono: «Avanti, per la vittoria!»

L’armata cristiana si mise in movimento e nella pianura si alzò una nuvola di polvere mostruosa, soprattutto nella zona di muli, asini e cavalli, che avanzavano in coda.

A poco a poco Carlo fu risucchiato dalla testa della colonna verso la retroguardia. Cominciò a ciondolare. Tomaczek, che gli trottava a fianco, si accorse che stava russando clamorosamente. Gli diede una gomitata e il Re cadde pesantemente a terra.

«Maestà si rialzi per favore, e si svegli. Qui facciamo una figura di merda!»

«Andate avanti voi, non ho dormito un cazzo neppure stanotte, abbiate pietà! Schiaccio un pisolino e vi raggiungo!»

«Ma, signor Re…?»

«Andate a Poitiers, vi accampate e fra due o tre anni arrivo io.»

«Con tutto il rispetto, non dica stronzate!» replicò Tomaczek. «Lei è il capo dell’armata e ha l’enorme responsabilità di cambiare il corso della storia.» Quindi rivolto a dei soldati lì vicino: «Il Re è caduto da cavallo, rimettetelo in sella!»

«Sarà meglio legarlo con delle cinghie, però, perché questo dorme della grossa!» suggerì un fante provenzale.

Così fecero e, in effetti, Carlo si appisolò di nuovo. Ronfava come un grosso ghiro tedesco, che è la razza più rumorosa, e ogni tanto urlacchiava: «Nooo! Signori musulmani, vi scongiuro, non fatemi squartare dai cavalli! Voglio tornare a casa dalla mia mamma!»

Quando straparlava troppo, Tomaczek gli dava una martellata col pomo della spada sul ginocchio destro.

Alcuni cavalieri si avvicinarono all’attendente.

«Senti, Tomaczek», dissero, «anche se continua a dormire, dobbiamo infilarlo nell’armatura d’ordinanza! Bisogna tutelare la sua immagine!»

Scesero da cavallo, lo liberarono dalle cinghie e lui scivolò come un tragico sacco tra le gambe del baio che, fingendo di sgranchirsi le zampe, gli diede una zoccolata sulla schiena.

«Gli infedeli!» urlò Carlo. «Sono ferito, arrendiamoci.»

«Maestà, si svegli!» disse Tomaczek.

Niente da fare. Carlo ricadde nel sonno. I cavalieri e alcuni soldati lo infilarono nell’armatura; il suo respiro pesante rimbombava ignobilmente sotto la celata.

Assistendo alla scena, un alabardiere si rivolse al compagno che aveva accanto: «Forse era più comoda da gestire un’armatura vuota», disse. «E se deve parlare c’è un mulo provenzale che lo imita alla perfezione, basta piazzarglielo accanto».

Quando si fermarono per la notte, l’intera armata, compresi muli, asini e cavalli, era esausta. Tutti, compresa l’oca Stella, inscatolata in un’armatura per volatili di taglia forte, si buttarono a terra.

E fu allora che il Re si svegliò.

«Son sveglio, sveglissimo! Colazione, poi tutti in sella e si ritorna a casa!»

Si avvicinò un cavaliere bretone.

«Come a casa?»

«Cioè, no… volevo dire… che forse è più sicuro rinchiudersi a Héristal…»

«Maestà, e la battaglia? E il cambiamento del corso della storia?»

«Ecco… forse non è il momento adatto… non



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