L'arte dello styling. Come raccontarsi attraverso i vestiti by Susanna Ausoni & Antonio Mancinelli

L'arte dello styling. Come raccontarsi attraverso i vestiti by Susanna Ausoni & Antonio Mancinelli

autore:Susanna Ausoni & Antonio Mancinelli [Ausoni, Susanna & Mancinelli, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Vallardi
pubblicato: 2022-01-20T23:00:00+00:00


Capitolo 7

LA STORIA DI CHI HA CREATO IMMAGINI

CHE HANNO FATTO LA STORIA

DIANA VREELAND, la moda diventa cultura

Come ha fatto una donna non particolarmente bella, non esageratamente ricca, senza un diploma e senza alcuna educazione accademica, a dirigere riviste e musei, plasmando il gusto e la moda di un’epoca? Diana Vreeland, imperatrice della moda e editor di fama internazionale, è un caso assolutamente unico. La sua carriera – nata quasi per caso, a una festa – ha attraversato la Seconda guerra mondiale, l’epoca d’oro della couture e i movimenti giovanili, la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e la nascita del divismo degli anni Settanta. Diana Vreeland ha sempre seguito il suo infallibile intuito e il suo personale senso estetico: la sua fantasia, guidata da una ferrea disciplina, ha dato vita a indimenticabili mostre e servizi di moda. Eccentrica e curiosa su tutto, amava anche il cattivo gusto, preferendolo al conformismo e alla mancanza di stile. La sua fortuna, ha sempre ripetuto, è stata nascere a Parigi (in una famiglia agiata, il che non guasta).

Venne al mondo come Diana Dalziel il 29 settembre del 1903 e crebbe respirando a pieni polmoni il fervore creativo e lo scintillio della Belle Époque. Suo padre, Frederick Young Dalziel, era un gentiluomo inglese: poco affettuoso, ma molto colto. Sua madre, Emily Key Hoffman, era una donna americana bizzarra e avventurosa: andava a caccia, partecipava ai safari e non risparmiava qualche piccolo scandalo alla famiglia con i suoi numerosi flirt. Diana non aveva un gran rapporto con la madre: fu nei suoi occhi che vide per la prima volta il disprezzo per il proprio aspetto. Emily era una donna bellissima ed elegante e la sorellina di Diana, Alexandra, sembrava una bambola. Diana proprio no. Ma comunque l’infanzia fu felice, ricca di incontri e divertimenti. Nel salotto di casa passavano intellettuali, ballerini, artisti. I genitori fecero conoscere alle figlie tutto ciò che c’era di bello: i teatri, i musei, le corse di cavalli. E a Parigi, all’inizio del secolo, c’era tutto ciò che si poteva desiderare. Ma la famiglia Dalziel non restò a lungo ferma nello stesso luogo: dopo la guerra si trasferì a New York, una città in pieno fermento. Diana faticò a inserirsi: odiava la scuola, non parlava ancora l’inglese e iniziò a balbettare. L’unico maestro che riuscì a coinvolgerla fu quello della scuola di ballo russa a cui i genitori, disperati, decisero di iscriverla. La danza fu il primo grande amore di Diana: non si lamentava nemmeno quando Michel Fokine, il suo insegnante, le massacrava le gambe a suon di bacchettate. Alla sbarra imparò molto di ciò che le sarebbe servito nella vita: il senso della disciplina e il senso del ritmo, qualità che sarebbero tornate utili nella scrittura e nell’impaginazione delle riviste. Ma in quel momento Diana era solo un’adolescente che amava ballare. Per la disperazione di sua madre, frequentava tutte le sale da ballo della città. Le sue preferite erano ad Harlem, dove i musicisti suonavano come forsennati tutta la notte e le ragazze ballavano il charleston.



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