L'arte di sbagliare alla grande by Enrico Galiano

L'arte di sbagliare alla grande by Enrico Galiano

autore:Enrico Galiano [Galiano, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2020-07-27T16:00:00+00:00


10.

COME KAFKA, MA VIA WHATSAPP

L’errore di fingersi felici

«Ora mi godo il periodo tra la bugia e il momento

che verrà scoperta. D’eh, hi hi ho!»

HOMER SIMPSON

Da un paio di settimane, la mia padrona di casa mi aveva detto che era ora di sloggiare. Vivevo in quell’appartamento da dieci anni, affitto pagato quasi regolarmente, ma adesso ci si voleva trasferire lei col suo compagno.

«Quindi, be’, non che ci sia fretta», disse, «ma entro l’anno sarebbe meglio che fosse libero.»

Era novembre.

A quel punto c’erano due strade: trovare un altro posto in affitto, oppure fare il grande passo: comprare casa. Due parole che per la mentalità della mia famiglia difficilmente potevano coesistere nella stessa frase, dato che non era mai stata contemplata l’idea di avere i mezzi per comprarne una. In effetti il mio conto era lì che mi guardava malinconico, me lo potevo sognare di poterci tirare fuori l’anticipo per un mutuo. Però io ero un dipendente pubblico ed ero appena stato assunto in ruolo: qualche banca mi avrebbe dato ascolto, no?

Ancora non potevo sapere che la risposta sarebbe stata sempre la stessa e cioè non solo «no», ma un no accompagnato da quel sorriso inconfondibile il cui significato sotteso è: “Sta scherzando, vero?”.

Così capii che se volevo fare quel passo mi serviva un aiuto, giusto qualche migliaio di euro, forse anche solo due. E feci una cosa che non avevo mai fatto in trentasette anni di vita: chiedere un prestito a mio padre.

Lui non lo sentivo quasi mai. Era alle Canarie da quasi quindici anni. Ero stato a trovarlo, sì, qualche volta, ma non avevamo mai avuto un normale rapporto tra padre e figlio, sempre che ne esista uno. Ci sentivamo una volta ogni paio di mesi, brevi telefonate, i suoi messaggi di auguri per il compleanno un mese dopo o un mese prima della data giusta, il mio non saper mai cosa dire quando mi chiamava. Però ero alle strette, avevo solo due mesi per andarmene e non volevo andare in affitto da qualche parte: non avevo intenzione di ritrovarmi a quarant’anni a vivere in un monolocale ammobiliato senza lasciare niente ai miei figli. Ok, c’era il piccolo dettaglio che non avevo figli: ma sentivo che se avessi proseguito il mio viaggio su quel treno, la destinazione sarebbe stata una città che si chiamava Vecchio Prof Zitello e Triste. Così presi il coraggio e gli scrissi chiedendogli se poteva darmi una mano. Ero abbastanza sicuro che, vista la posta in gioco – aiutare suo figlio a mettere finalmente su casa, dare il proprio contributo affinché fossi il primo della famiglia a fare le cose sul serio – mi avrebbe detto un secco sì, senza pensarci un attimo. Avrei fatto sacrifici, ma gli avrei restituito tutto in un paio d’anni al massimo.

Inviai. Aspettai la risposta. Arrivò, quasi subito.

Mi ricordo che rimasi a fissare lo schermo per un sacco di tempo. Non riuscivo a credere che mi avesse scritto così: no, mi aveva detto di no.

Ho qualcosa da parte, ma non te li do.



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