Le due tigri by Salgari

Le due tigri by Salgari

autore:Salgari [Salgari]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-07-24T20:41:24.322704+00:00


Capitolo XVIII

IL CICLONE

Gli uragani che scoppiano nella grande penisola indostana non hanno ordinariamente che una durata brevissima, però la loro violenza è tale che noi europei non possiamo farcene un'idea.

Occorrono pochi minuti per devastare delle regioni intere e rovesciare perfino delle città. La forza del vento è incalcolabile e soli i grossi edifizi vi possono resistere ed i piú colossali alberi come i pipal ed i fichi delle pagode.

Basta ricordare, per farsene una pallida idea, quello scoppiato nel Bengala nel 1866 che uccise ventimila bengalesi a Calcutta e centomila nelle pianure costeggianti l'Hugly.

Le persone sorprese nelle vie della città venivano sollevate come piume e sbattute contro le pareti delle case, i palanchini venivano trasportati in aria assieme alle persone che vi si trovavano dentro; le capanne della città nera schiantate di colpo, correvano per le campagne.

Il peggio fu quando il ciclone, cambiando direzione, respinse le acque dell'Hugly, che si rovesciarono sulla città seco trascinando duecento e quaranta navi che si trovavano ancorate lungo il fiume e che si fracassarono le une contro le altre.

L'enorme massa d'acqua, spinta dal vento, in pochi momenti spazzò via tutti i quartieri poveri della capitale, trascinando ben lontani gli avanzi, ed atterrò portici, palazzi, colonnati e ponti riducendo quella opulenta città in un mucchio spaventevole di rovine.

E non è tutto. Quasi sempre dietro ai cicloni si succedono dei venti caldi chiamati dagl'indiani hot-winds, che non sono meno temuti.

Il loro calore è tale che gli europei, non abituati, non possono uscire dalle loro case sotto il pericolo di morire asfissiati di colpo.

Ai primi soffi del simun, anche gl'indigeni, sono obbligati a prendere delle pronte misure, per impedire che le loro abitazioni diventino dei veri forni ardenti.

Turano tutte le aperture, le finestre comprese, con fitti pagliericci che chiamansi tatti e che bagnano senza posa, onde il vento passando attraverso quegli ostacoli umidi, perda buona parte del suo intenso calore e non renda l'aria irrespirabile.

Per di piú fanno funzionare disperatamente le punka e certe grandi ruote a vento chiamate thermantidoti per mantenere nelle stanze un po' di frescura.

Nondimeno, malgrado tutte quelle precauzioni, molte persone muoiono asfissiate, specialmente nelle alte regioni dell'India occidentale, essendo colà i venti caldissimi giungendo dai deserti.

Il ciclone che stava per rovesciarsi sulla jungla, prometteva di essere non meno terribile degli altri e destava serie apprensioni in Tremal-Naik, che conosceva la furia di quelle trombe, e nei due cornac.

In quanto a Sandokan e Yanez, sembrava che non se ne preoccupassero affatto. Se non conoscevano i cicloni indiani, avevano sfidati per lunghi anni quelli che si scatenano sui mari della Malesia, certo non meno formidabili e non meno pericolosi.

Quantunque le prime folate di vento cominciassero a scuotere violentemente le tende, il portoghese, improvvisatosi cuoco, aveva allestita la colazione aiutato da Surama.

- Andiamo, - gridò. - Un boccone per diventare un po' piú pesanti, onde il vento non ci sollevi troppo facilmente. Avremo un po' di musica a base di tuoni, ma bah! I nostri orecchi ci sono abituati e poi...

Un rombo spaventevole, paragonabile allo scoppio d'una



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