L'industria degli influencer by Emily Hund

L'industria degli influencer by Emily Hund

autore:Emily Hund [Hund, Emily]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-02-20T12:00:00+00:00


Il video di O’Neill attirò l’attenzione dei media di tutto il mondo e diventò un argomento di discussione sulla presunta autenticità dei social media e sulle pressioni invisibili che ne derivano. O’Neill ricevette anche aspre critiche da parte di chi sospettava che si trattasse di una bufala70. Sebbene i suoi detrattori si fossero dimostrati scorretti nel ritenere che avesse inscenato l’evento per attirare l’attenzione e ottenere maggiore visibilità e accordi di branding – poco dopo O’Neill smise di postare sui social media e la copertura della stampa si affievolí – la natura del contraccolpo fu eloquente, poiché rivelava un crescente cinismo tra gli utenti dei social media e gli osservatori del settore, che erano arrivati ad aspettarsi che gli influencer stessero semplicemente utilizzando i cliché e gli strumenti ormai consolidati per costruire una matrioska di trovate pubblicitarie, in cui una «rivelazione» apparentemente autentica nascondeva soltanto la successiva tranche di pagamenti e macchinazioni che avevano luogo al riparo del personaggio messo in scena sullo schermo.

Nella prima metà degli anni Dieci, il settore degli influencer rese efficiente il proprio giro d’affari sistematizzando la fondamentale attività di valutazione, selezione e determinazione dei prezzi delle campagne pubblicitarie, esplorando mezzi piú pervasivi e funzionali per la commercializzazione dei contenuti e trovando il modo di ottimizzare sia le metriche sia l’estetica che alimentavano il comparto. Gli effetti di questi nuovi strumenti e pratiche – come le regole piú severe per gli influencer che creano contenuti sponsorizzati, le particolari tendenze visive che pervadono sia le esperienze online sia quelle offline e la dilagante autocommercializzazione – hanno minato l’immagine democratica e autentica del settore. Allo stesso tempo, queste attività gli hanno permesso di crescere a un ritmo sorprendente. Il suo valore stimato a metà degli anni Dieci71 era superiore al miliardo di dollari e la sua peculiare logica di self-branding e automonetizzazione si era infiltrata nelle esperienze sociali e culturali quotidiane, poiché le piattaforme come Instagram erano diventate sempre piú fondamentali per la socializzazione, lo shopping e l’espressione di sé. Questo non ci deve necessariamente sorprendere; come sottolineava la ricercatrice dei media Alice Marwick, «i meccanismi tecnici dei social media riflettono i valori del luogo in cui sono stati prodotti: una cultura dominata dall’interesse commerciale»72.

Questi sforzi di razionalizzazione, tuttavia, non hanno introdotto un modello commerciale impeccabile, anche se il settore ha cercato di raggiungere un’efficienza da catena di montaggio. (Come spiegava Hennessy, «il mio lavoro è una piccolissima parte di una macchina gigantesca che si attiva quando qualcuno fa un acquisto. […] C’è un’intero reparto che si occupa di raggiungere i Kpi e la conversione e questo non ha nulla a che fare con me. Non devo nemmeno avvicinarmi a quella roba, perché sono cose delicate. […] È una lunga catena di montaggio. Io mi occupo della mia parte, faccio la mia parte e poi mi tiro indietro»).

L’attenzione ricevuta da Chiara Ferragni ed Essena O’Neill, seppur molto differente, ha ricordato all’industria e al pubblico che gli influencer sono prima di tutto dei lavoratori, che creano valore per una moltitudine di aziende.



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