Lontani parenti by Veit Heinichen

Lontani parenti by Veit Heinichen

autore:Veit Heinichen [Heinichen, Veit]
La lingua: ita
Format: epub
editore: e-o
pubblicato: 2022-03-16T23:00:00+00:00


FALLE DELLA MEMORIA

Frane Bartol andò loro incontro a braccia aperte quando la Maserati attraversò l’arco di pietra, inforcando il pesante portone automatico in legno massello e rischiando di stendere un gallo dalle penne lucide che razzolava impettito. Ada inchiodò con uno stridore di freni davanti all’uomo, che riuscì a scacciare l’animale appena in tempo. Nonostante l’età e la schiena leggermente curva, era ancora forte e aveva due mani grosse come pale. Alle sue spalle si allargava una vasta corte disseminata di attrezzi agricoli, la stalla sormontata dal granaio distava pochi metri dalla casa, il cui tetto era ricoperto di lastre calcaree del Carso secondo lo stile architettonico di quattro secoli prima. Sulla chiave di volta, sotto lo stemma di famiglia, era incisa la data 1645. Ogni elemento era autentico, in quell’oasi dove la tradizione conservava ancora una grande importanza.

«Attenta al mio povero gallo, vecchia strega!» esclamò Frane Bartol, mentre Ada apriva la portiera. «Non ha nessuna colpa ed è troppo bello per morire così. Prima di finire in pentola deve dimostrare alle galline di che pasta è fatto. È lui il tutore dell’ordine di cui mi hai parlato?» domandò con un cenno di saluto a Laurenti. «Marta! Marta!» chiamò subito dopo, girandosi dall’altra parte. «Gli sbirri sono venuti a prenderti! Mi è toccato aspettare più di novant’anni per vedere questo momento. Non potevi arrivare prima, signor commissario?».

La donna che uscì dall’edificio era meno arzilla dell’energico marito. Si avvicinò a piccoli passi, ridendo e prendendosi la testa tra le mani. «Frane, ringrazia Dio che non ti ho ancora avvelenato la minestra. Le tue battute sono vecchie come te».

«Dio è morto, moglie. E di solito cucino io. Non sono mica mona, mai mettere il proprio destino in mano agli altri». La sua stretta era sorprendentemente vigorosa. «È la prima volta che da noi la polizia è benvenuta, ma Ada parla talmente bene di te che non vedevo l’ora di conoscerti, Lavrenčič».

Alcuni amici sul Carso lo chiamavano così, per altri era semplicemente il commissario o lo sbirro e solo in pochi si rivolgevano a lui usando il suo nome di battesimo. Lì sull’altopiano la gente preferiva i soprannomi: un marinaio panciuto era “lo Skipper”, un amico con la chierica “il Cardinale”, un commerciante di bestiame “il Buon pastore”, il gestore altoatesino dell’edicola tabacchi a Prosecco “il Bumser” o “Volkspartei” – a seconda dell’umore – e un altro ancora “Molotov”, per trascorsi di gioventù sui quali era meglio tacere.

«Vieni con me» lo trascinò via Frane senza dargli nemmeno il tempo di salutare la moglie. «Lasciamo le donne a starnazzare tra loro».

Marta sorrise a Laurenti, abituata alla finta rudezza del marito. La casa era dominata dall’enorme Stube, il soggiorno riscaldato da un’imponente stufa di maiolica e collegato con la spaziosa cucina. Muri in pietra a vista e tanto legno. Frane Bartol indicò al commissario un posto sulla panca ad angolo davanti a un massiccio tavolo in rovere lungo non meno di quattro metri.

«Siediti, ti porto del vino e poi torno a cucinare. Ada ha detto che hai solo due ore, perciò ho preparato solo un paio di cosette».



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