L'ultima provincia by Luisa Adorno

L'ultima provincia by Luisa Adorno

autore:Luisa Adorno [Adorno, Luisa]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General, Fiction
ISBN: 9788838924033
Google: MLmDngEACAAJ
editore: Sellerio Editore Palermo
pubblicato: 2009-06-14T22:00:00+00:00


XII

Il treno correva nel buio tra forme sconosciute. Nello scompartimento ermeticamente chiuso l’aria era acre, irrespirabile. Diversi tentativi di aprire il finestrino erano stati volta a volta stroncati dalla Prefettessa finché ella, portandosi una mano al collo e sfidando il figlio con lo sguardo, aveva dichiarato di aver mal di gola e definito la questione così. Insensibile al fatto che nessuno le avesse creduto, anche ora, se nella luce azzurra della lampadina notturna qualcuno smaniava, o semplicemente si muoveva, lei, che sembrava dormire, si portava, pronta, la mano al collo e restava così fino a che si ristabiliva la quiete.

Il mento sul petto e l’espressione severa, l’Adorno sonnecchiava al suo fianco: si ricomponeva ogni tanto con un vibrato sospiro e dava intorno occhiate diffidenti.

Accanto a lui, rigida nell’abito nero, la testa eretta, senza abbandoni, Concetta sembrava restringere la propria persona per non sfiorarlo col braccio.

Ai miei occhi socchiusi si affollavano le immagini di tante ore di viaggio. Ritornava la ribalta ferrigna del camion, la sua targa traballante, che avevamo seguito così a lungo appena partiti. E la smania che mi aveva dato adeguarci, per chilometri, alla andatura goffa e lenta del vecchio autocarro, senza speranza di sorpasso, non essendo questa manovra consentita dal codice stradale dell’Adorno. — Dev’essere tremendo guidare così! — avevo detto, ad un certo punto, all’autista con l’intenzione di stabilire fra me e lui una corrente di proletaria solidarietà. Gastaldi, con un piccolo fremito che avevo creduto di soddisfazione ed era d’imbarazzo, come se avessi messo a nudo un suo vergognoso pensiero, aveva aggiustato sul sedile le sue piccole natiche senza rispondere e l’Adorno, pago d’essere lui a comandare: — Niente ci fa — aveva risposto tranquillo.

Rivedevo Cosimo schiacciato fra me e la madre, immobile e muto, e il lampo di sorriso, subito spento dalla presenza dei suoi in un incupimento del viso e in un moto di fastidio per me, di quando gli avevo detto: — Sembra che tu abbia le manette —, l’arrivo a Roma sotto la pioggia, l’espressione preoccupata, vagamente sconvolta con cui gli Adorno erano scesi di macchina alla stazione.

Avevamo camminato in fretta, fra la gente, in un odore di segatura umida e d’impermeabili bagnati, cercando di non perdere di vista il carrello del facchino, che l’Adorno, trotterellando a riprese, riusciva a seguire da vicino e Concetta al passo, la mano aperta su una valigia in segno impudico di possesso.

— Andate! andate! — ci aveva detto, arresa, la Prefettessa come se volesse spingere noi sulla via di salvezza — io vengo piano.

— Il treno si deve ancora formare — aveva annunciato il facchino scaricando le numerose, modeste valige sulla banchina deserta.

— Buono! — aveva approvato soddisfatto l’Adorno che considerava il massimo della puntualità arrivare prima che il treno esistesse e aspettare un’ora prima che partisse. Ma lo slancio con cui, poco dopo, lui e Concetta, si erano avventati sul treno vuoto, era stato lo stesso che se avessero dovuto approfittare di una sosta di pochi minuti. Si erano aizzati a vicenda, avevano chiamato,



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