Maydala Express by Pierdomenico Baccalario & Davide Morosinotto

Maydala Express by Pierdomenico Baccalario & Davide Morosinotto

autore:Pierdomenico Baccalario & Davide Morosinotto [Baccalario, Pierdomenico & Morosinotto, Davide]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Piemme
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


12

IL MUSEO D’INVERNO

Dove scopriamo che a volte persino i re

hanno voglia di tagliare la corda, che non sempre

è bello ritrovare i vecchi amici e che le sciarpe

possono essere utilizzate perfettamente con il detersivo

Per raggiungere il Palazzo d’inverno bisognava tornare sull’Aspettativa Nevsky. Per fortuna parte della folla si era spostata e le carrozze correvano liberamente sull’acciottolato. A riempire il vuoto lasciato dai cittadini nella grande strada c’era ora un vento freddo e dispettoso, che si infilava su per le maniche. Lem indicò a Finally un alto palazzo: al piano terra c’erano alcune vetrine illuminate e un viavai di gente che entrava e usciva da una stretta porticina di legno.

— Quello è l’Eliseevsky — spiegò. — Il più antico negozio di alimentari della città. Acquafiume è stata demolita e ricostruita almeno dieci volte, ma quel negozietto è sempre rimasto così, come se il tempo non fosse mai passato. Mangiamoci qualcosa, mentre aspettiamo il mio amico...

Entrarono. Visto da fuori, a Finally quel posto ricordava certe botteghe della Città Grigia, che sorgevano traballanti accanto alla Vecchia Chiesa, ma una volta entrati le parve di essere finita nel salotto di un re. Le pareti e i soffitti erano decorati da colonne e fregi floreali. Tre giganteschi lampadari di cristallo scendevano fin quasi a terra e gettavano ovunque una splendida luce dorata. Il pavimento era a scacchi bianchi e neri, e proprio nel centro c’era un bancone, dove graziose ragazze in grembiule, con i capelli biondi e i guanti bianchi, servivano ai clienti le prelibatezze esposte nelle vetrinette.

C’era un intero scaffale con cioccolata di ogni parte del mondo e vasetti pieni di palline scure che secondo Lem erano uova di pesce. Quasi tutto costava troppo per i pochi spiccioli del loro calzino salvadanaio, così Lem ordinò al bancone due porzioni di ravioli. Con una sola moneta ricevettero due piatti fumanti inondati di burro fuso, con una salsina acida che ricordava un frutto acerbo.

— Si chiamano pel’meni — spiegò Lem addentandone subito uno e masticando con gusto. — Da quanto tempo non ne mangiavo!

Finally lo imitò. Non aveva mai provato niente che pizzicasse tanto! Si rifocillarono in piedi, gustandosi lo spettacolo dei vari clienti che guardavano, annusavano, assaggiavano e sceglievano cosa portare a casa. C’erano decine di scatole colorate per le confezioni e nastri per chiuderle con un bel fiocco.

Rinfrancati da quella sosta, si ributtarono nell’immensità vuota dell’Aspettativa Nevsky, percorrendola fino in fondo, così in fondo che Finally sentì che i piedi minacciavano di esploderle dentro le scarpe. Era davvero lunghissima, dieci volte più dell’Iron Bridge!

Una volta raggiunto il mare, Lem svoltò a destra, poi subito a sinistra, quindi disse: — Eccoci arrivati. Quello è il Palazzo d’inverno.

La ragazza mosse la testa da una parte all’altra, senza riuscire a credere ai suoi occhi. Era la costruzione più grande che avesse mai visto, almeno tre volte la Stazione Grigia. La facciata era lunga circa mezzo chilometro, con il tetto verde chiaro, un numero di finestre impossibile da contare e un numero di colonne almeno due volte impossibile. Ogni arcata, ogni fregio, ogni particolare erano rivestiti d’oro zecchino.



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