Memorie della mia vita by Giorgio de Chirico

Memorie della mia vita by Giorgio de Chirico

autore:Giorgio de Chirico [Chirico, Giorgio de]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2019-11-01T23:00:00+00:00


1 Da notizie recentissime ho saputo che la signora Felicita Fray dipinge anche meglio di prima e io ipso facto la metto tra i buoni.

Disgustato di tutto quell’immondezzaio morale e materiale al quale era giunta la pittura a Parigi, seguii il consiglio di un amico e dopo essermi riposato un po’ di tempo in Toscana, feci imballare un certo numero di tele e partii per Nuova York.

Mi imbarcai un mattino di agosto, a Genova, sul transatlantico Roma. Faceva un caldo infernale e il transatlantico sembrava un’enorme caldaia galleggiante. Inoltre il continuo movimento della nave mi faceva soffrire terribilmente. Ero anche molto depresso moralmente. Isabella non era potuta partire con me. Sul piroscafo c’erano molte comitive di giovani americani che tornavano dalle vacanze passate in Europa e facevano un chiasso d’inferno; queste comitive oltre che rumorose erano anche invadenti e tutto questo aumentava ancora il mio malessere fisico e morale. Il viaggio da Genova a Nuova York mi è rimasto nella memoria come uno dei peggiori ricordi della mia vita. Finalmente dopo nove giorni di rullio e di beccheggio e il rumore assordante provocato dalle comitive dei giovani yankees, in mezzo a un mare saponoso e caldo, in una luce da serra e da acquario e con una temperatura da bagno turco, si arrivò a Nuova York che ero mezzo morto. Tale era la mia impazienza di giungere alla fine di quel viaggio infernale che nella notte precedente l’arrivo non potei dormire e rimasi tutto il tempo sul ponte. Con le prime luci del mattino apparvero all’orizzonte i grattacieli di Wall Street; pensai a Babilonia e a certi modelli in gesso di ricostruzioni archeologiche che una volta vidi in Germania, in un museo.

Un caldo umido, un caldo coloniale, un caldo da miniera, incombeva sulle acque grasse del porto. Il sole non si vedeva; uomini e cose avevano perduto la loro ombra; una luce diffusa, una luce da studio fotografico, stile fine del secolo scorso, incombeva ovunque. Dopo le interminabili formalità del passaporto, dell’esame dei visti, degli interrogatori, della dogana, e dopo aver subito persino una visita medica, riuscii a uscire dalla caldaia galleggiante. Sulla banchina, in un’atmosfera satura di odori strani, mi aspettavano lo zio e la zia di Isabella, un gentiluomo e una gentildonna che avevo conosciuti a Parigi. L’incontro con quelle due persone così nobili, cordiali e simpatiche, mi consolò e mi incoraggiò alquanto. Appena messo piede sul suolo dell’America sentii una forte nostalgia dell’Europa, di qualsiasi Paese dell’Europa, anche del meno bello, anche del meno interessante. Strano come nella città di Nuova York mi sembrava di essere morto e rinato in un altro pianeta. Quelle costruzioni lisce e monotone, dalle cui superfici nulla sporgeva, non un balcone, non il capitello d’una colonna, non un cornicione, non un pezzo d’ornato, non un’asta, non un chiodo, mi procuravano un senso di grande sgomento. Pensavo con nostalgia al calore e all’umanità dello stile barocco, dello stile secondo Impero, e persino dello stile umbertino e di quello liberty. Mi consolavo dicendomi che



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