Mirafiori by Giuseppe Berta
autore:Giuseppe, Berta [Berta, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, L'identità italiana
ISBN: 9788815229786
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2011-10-14T22:00:00+00:00
Capitolo quarto
La fabbrica del conflitto permanente
Nei dieci anni che seguirono lâ«autunno caldo» del 1969, la Fiat manovrò a lungo per contenere piuttosto che per piegare i conflitti e la mobilitazione collettiva dei lavoratori, quasi cercando di adattarsi plasticamente alle tensioni che salivano dallâuniverso di fabbrica. Fin dagli esordi era stata evidente la portata straordinaria della conflittualità operaia: il 1969 può davvero spiccare come una punta apicale nella storia degli scioperi industriali se soltanto nei tre maggiori impianti di Torino (Mirafiori, Lingotto e Rivalta), il totale delle ore perse per le agitazioni sindacali superò i 9 milioni, su un organico complessivo di oltre 65 mila operai. In termini di minor produzione realizzata, la perdita venne calcolata in più di un quinto dei volumi previsti: in quellâanno la Fiat fabbricò 273 mila vetture in meno, se nel conto si fanno rientrare anche i veicoli col marchio Autobianchi.
Unâimpennata tanto brusca degli scioperi non trova riscontro in nessuna fase anteriore di lotte dei lavoratori dellâindustria: basti pensare che per il contratto nazionale del 1966, le ore di lavoro perse alla Fiat erano state in tutto 2,2 milioni. Nel decennio seguente, che si sarebbe chiuso con il durissimo confronto del settembre-ottobre 1980, gli indici del conflitto non sarebbero mai tornati a un livello così basso tranne che nel 1978, mentre il totale delle ore perse risentiva anche degli elevati tassi di assenteismo.
Agli inizi del 1970, la Fiat quantificò gli effetti pesanti della conflittualità sui conti aziendali. Lâutile per il â69 era sceso a 13 miliardi di lire dai 34 del 1968; il dividendo distribuito agli azionisti restava invariato a 120 lire, ma soltanto grazie alle massicce riserve accumulate nel passato. In generale il nuovo contratto dei metalmeccanici, stipulato ai primi del gennaio 1970 con la mediazione «attiva» (cioè sostanzialmente a pro del sindacato, secondo lâuso politico del tempo) del Ministro del lavoro, il democristiano ed ex segretario Cisl di Torino Carlo Donat Cattin, avrebbe avuto la conseguenza di far salire il costo orario della manodopera per lâindustria di circa il 20 per cento in tre anni.
Allâinterno della Fiat, lâesplosione del conflitto industriale colpì i programmi di espansione illimitata che essa aveva fin lì perseguito e, con un solo colpo, gettò in una crisi irreversibile lâintero ordine aziendale. Il management non se ne diede immediatamente per inteso, credendo (o illudendosi) che perfino unâondata di scioperi così violenta, distruttiva per la prassi che aveva regolato gli impianti durante ventâanni, dovesse consumarsi su se stessa per riportare le fabbriche a una normalità che di fatto non esisteva più. In altre parole, la direzione aziendale di estrazione vallettiana che era alla guida della Fiat credette, anche se per poco, di poter superare lâ«autunno caldo» così come era uscita indenne dalla fiammata di scioperi del luglio 1962. Era convinta di poter riassorbire anche quella lacerazione, non giudicandola incompatibile con una restaurazione rapida delle prerogative della gerarchia interna. Eppure, a management e quadri direttivi di fabbrica non erano mancati i segnali che avrebbero potuto far preconizzare lâapprossimarsi del tifone sullâazienda, se soltanto vi avessero voluto prestare ascolto.
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