Parmigianino by Anna Coliva

Parmigianino by Anna Coliva

autore:Anna Coliva [Coliva, Anna]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Art, History, General, Individual Artists, Monographs
ISBN: 9788809761780
Google: Esf6p7LzX84C
Amazon: B01MQZ0GUK
editore: Giunti
pubblicato: 1993-05-15T23:29:56+00:00


IL SOGGIORNO BOLOGNESE

Partito da Roma alla fine del maggio 1527, il Parmigianino si fermò a Bologna sino al 1530, secondo alcuni aspettando che il Correggio lasciasse Parma. Nel 1531 Francesco era sicuramente a Parma, dove stipulò il contratto per gli affreschi di Santa Maria della Steccata. Qui avrebbe passato gli ultimi dieci anni della sua vita, i più infelici, inquieti e ossessionati da dolorose incomprensioni, lontano oramai dagli edonistici anni romani. La cronaca che fa il Vasari nel riferire del periodo bolognese è molto precisa e non c’è ragione per non seguire la successione cronologica delle opere come la indica il biografo, peraltro sempre più sostenuta da nuove acquisizioni critiche e documentarie.

La prima opera che il Parmigianino eseguì a Bologna fu San Rocco e il donatore, commissionata da un certo Fabrizio da Milano che si fece ritrarre nel quadro. Eseguita per la chiesa di San Petronio, la pala vi si trova tuttora nell’ottava cappella a sinistra. L’intensità devota che caratterizza il volto del santo non ha paralleli nella produzione del Parmigianino che fino ad allora non si era rivelato particolarmente interessato alle inclinazioni patetiche della devozione. Il patetismo dell’immagine non sfuggì al Vasari al quale il santo apparve «alquanto sollevato dal dolore»; ma soprattutto non sfuggì ai pittori bolognesi della fine del Cinquecento, quali Bartolomeo Cesi e lo stesso Ludovico Carracci, che vi riconobbero un codice espressivo atto a rappresentare i nuovi contenuti religiosi. Il San Rocco è ancora fortemente legato alla sintassi della Visione di san Girolamo di cui accentua la tendenza al verticalismo e all’ingrandimento in scala delle figure: nella pala bolognese il santo si distende sull’intero spazio disponibile in altezza, mentre in profondità occupa solamente il piano di superficie, relegando il fondo paesistico, che pure si imposta con vastità, a semplice velario privo di vero spessore.

Entrambi questi elementi si ripetono nella Conversione di san Paolo del Kunsthistorisches Museum di Vienna, eseguito dal Mazzola per un medico parmense, messer Gian Andrea Albio.

È questa un’opera di straordinaria altezza formale, dove i ricordi giovanili del Pordenone e quelli, più recenti, della Cacciata di Eliodoro di Raffaello sono impliciti nella vertiginosa bellezza del guizzante cavallo bianco impennato, ma sono nello stesso tempo irrecuperabili, perché l’animale è divenuto un’immagine astratta, assolutamente antinaturalistica nello slancio e nello sviluppo verticale, così come è innaturale la figura del santo attorto in una posa impossibile. È una sofisticata immagine araldica ma la sua grafica astrazione è a sua volta contraddetta dalla resa più che realistica dei particolari: anzi la nettezza di questi ultimi è amplificata dall’ingrandimento provocato dalla deformazione ottica a cui tutta l’immagine è sottoposta, esattamente come avveniva per l’Autoritratto allo specchio. Ma mentre in quel caso la composizione era riflessa in uno specchio circolare, nella Conversione di san Paolo sembra proiettata sul piano convesso di un cilindro. Su tutta l’immagine si stende come un reticolo di filamentose lumeggiature dorate, che crea un effetto di colore crepitante: è l’inizio di quel fenomeno, al quale si è accennato a proposito della Madonna col Bambino e san



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