Passavamo sulla terra leggeri by Sergio Atzeni;

Passavamo sulla terra leggeri by Sergio Atzeni;

autore:Sergio Atzeni;
La lingua: ita
Format: epub
editore: edigita
pubblicato: 2023-08-15T00:00:00+00:00


Roma diventò memoria che lievitando in menti barbare cominciò a forgiare Europa, disse Antonio Setzu.

Ci trovammo liberi in un mare di predoni.

I corsi, figli dell’incrocio fra etruschi e goti, ebbero una flotta di paranze e jabecos che faceva contrabbando e pirateria su tutte le coste dell’alto mediterraneo. Una banda di pirati corsi, comandata da Urtimorio, famoso per la ferocia, occupò Pausania, porto romano abbandonato nel settentrione della Sardegna, lo chiamò Torres e ne fece la tana dove riparare dopo agguati, rapine e omicidi al largo. Per molti anni la pirateria fruttò e Susorio, figlio di Urtimorio, guidò una banda di pirati ricchi e potenti alla conquista delle rovine di Genua, più volte nei secoli precedenti distrutta e saccheggiata dai barbari, abitata da una umanità selvatica e cenciosa. Susorio conquistò e rifondò Genua facendone una repubblica di marinai rapinatori.

Gli etruschi vivevano da mille anni nella parte orientale di settentrione, la Gaddura. Imitarono i cugini corsi, si diedero alla pirateria, costruirono un porto dove nascondersi dopo le scorrerie e lo chiamarono Longone.

L’antica Mu rinata col nome di Bosa fu il primo porto delle genti dei giudici, oltre che l’unico isolano non in mare aperto ma lungo la foce di un fiume, il Timur. Gli uomini di Bosa segnarono un confine con pali e pietre fra monte Arvinu e monte Kera, così che le quattro sorgenti del Timur fossero nella terra dei giudici. La gente di Torres accettò quel confine. Le navi dirette a Bosa, tolonesi, genovesi, catalane, erano risparmiate dai pirati di Torres e di Longone. Fra le terre dei sardi e le terre degli etruschi di Gaddura non c’era confine segnato, vivevamo come fratelli.

In giorno di mercato un episcopo senza scorta entrò a piedi dalla porta di Arbaré. Nessuno lo notò. La porta era aperta notte e giorno. Non c’erano guardie. L’episcopo si fermò davanti a un venditore di sizigorrus che aveva le ceste sulle scale della cattedrale e chiese: «Dov’è il giudice?». Il venditore indicò una casa di fango dipinta di bianco uguale a tutte le altre, in un vicolo di tufo fangoso uguale a tutti gli altri. L’episcopo era scalzo, non ebbe alcun timore di infangarsi i piedi. Raggiunse la casa del giudice e superò la soglia priva di porta. Nella penombra una lama di luce polverosa scendeva da una feritoia al centro del tetto e illuminava una stuoia stesa a terra. L’episcopo chiamò: «Giudice?». Nessuno rispose. L’episcopo uscì in strada, vide una donna passare e chiese: «Dov’è il giudice?». «Attorno...» rispose la donna e si allontanò. L’episcopo sedette sulla soglia di casa del giudice Guantinu e guardò il passare di uomini, donne, galline sventate, bambini che urlavano correndo, mercanti e mercantesse che gridavano: «Picconi e pale a buon mercato» o «Limoni, i più sugosi di Arbaré, limoni» o «Il vino mio ha vent’anni, è nero come sputo di seppia e forte come galoppo di cavallo». L’episcopo vide vecchie ridenti avvolte in panni neri camminare veloci come frecce lungo i muri. Al



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