Philip K. Dick, la macchina della paranoia by Antonio Caronia & Domenico Gallo
autore:Antonio Caronia & Domenico Gallo [Caronia, Antonio & Gallo, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-17T12:28:42+00:00
( Cronache del dopobomba, cap. 5)
Ecco quindi che sin dall’inizio Dick colloca questa sua storia di sopravvivenza sotto il segno delle forze dell’inconscio e dell’archetipo (→ psicoanalisi) che, se non imbrigliate, tendono alla dissoluzione e all’entropia (“ora non ci sono che atomi”). E infatti queste sono le principali dinamiche con cui avranno a che fare le comunità dei sopravvissuti nel ro-190
manzo: la psicosi che imprigiona Bluthgeld si attaccherà anche a Hoppy Harrington, il focomelico virtuoso dell’→ artigianato, che da campione amato della comunità si trasformerà in emblema del male, e con i poteri paranormali spodesterà Walt Dangerfield dal controllo del satellite (→
media); ma Harrington sarà a sua volta battuto dall’ homumculus Bill, essere endogeno incistato nel ventre della sorellina Edie, capace di parlare con i morti (→ vita/morte) e unico in grado di contrastare Hoppy.
Sarà anche vero, dunque, che Dick aveva in mente di scrivere una specie di utopia pastorale, raccontando la faticosa ma solidale ricostruzione di una vita in comune dopo il crollo della società e della tecnica (sim-boleggiata dalle due figure di Andrew Gill, il fabbricante di sigarette, e Dean Hardy, costruttore delle omonime trappole omeostatiche che vediamo in azione nel finale). Ma non poteva liberarsi, neanche in un contesto di questo genere, dalle tematiche caratteristiche della sua ricerca.
La piccola comunità di West Marin, dunque, deve vedersela, prima che con la catastrofe postatomica, con la catastrofe dei propri inconsci individuali e collettivi. E sarà un caso che da questa catastrofe, a parte i due artigiani sopra citati, il personaggio che se la cava meglio è una → donna, la madre di Edie, Bonny Keller? È lei, commenta sempre il dottor Stockstill, che “è riuscita a sfuggire alle forze della decadenza che si so-no instaurate nel mondo. Il cielo è caduto addosso a noi, non addosso a lei…” (ivi, cap. 9).
postmoderno → arte; realtà/illusione; storia
potere
All’inizio del 1981, poco più di un anno prima di morire, Phil Dick assunse la carica di presidente della commissione per il regolamento interno del suo condominio al 408 East Civic Center Drive 1 di Santa Ana, Orange County, California. Un suo vicino ricorda: “La sua preoccupazione era che un altro, al posto suo, fosse troppo severo nei confronti di gatti e musica suonata ad alto volume”. L’anno prima, nel 1980, aveva rilasciato un’intervista alla rivista musicale punk “Slash”, affermando che “una rivoluzione giovanile che smantellasse l’apparato governativo non era solo possibile, ma auspicabile. ‘È il mio sogno. Non che i ragazzi governino, ma che rendano impossibile il funzionamento della tecnologia più sofisticata.’” (Sutin 1990, pp. 305, 299). È vero. Dick era un esibizionista e nei colloqui spesso tendeva a compiacere il suo interlocutore. Ma, è indubbio, Phil rimase sino all’ultimo un ragazzo di Berkeley degli anni Sessanta. Senza nostalgie e senza rimpianti (anche perché non 191
visse abbastanza a lungo per averne), con tutte le ingenuità e le ambiguità delle controculture americane, soprattutto per quanto riguarda la questione della politica e dell’esercizio del potere.
Se si spulcia fra i suoi racconti giovanili, affiora una concezione utopista e ingenua della possibilità di gestire gli affari pubblici saltando la mediazione della politica.
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