pozza by Pozza Neri
autore:Pozza, Neri [Pozza, Neri]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00
I fatti, poi, si erano messi l’uno sull’altro come tanti dadi che fanno un pilastro.
Al lume delle torce, Jacopo aveva visto il soffitto della libreria nicena aperto al cielo, il pavimento ingombro di un mucchio di calcinacci – i murari e i capimastri accorsi che criavano con la testa per aria.
Alle prime luci del dì arrivava il Guardian della spada. A nome dei Procuratori invitava il proto Sansovino a seguirlo, e lo guidava di là dalla piazzetta alle prigioni. Pochi passi su per le scale, dentro un corridoio: il catenaccio era saltato nella chiavarda come lo schiocco della lingua battuta nel palato.
Atterrato dallo stupore Jacopo non aveva fatto in tempo a dire nulla. Ora, steso sul paglione a misurare quel sepolcro, scrutava per l’inferriata la luce del giorno e sentiva la collera salirgli per la gola, stringergliela con un nodo insopportabile.
Nemmeno due parole era riuscito a dire al Guardian della spada, nemmeno che stavano portando alle presón il proto eletto dai Procuratori de Supra, un foresto di Firenze stipendiato con tanto di scrittura e onorato da tutte le magistrature.
Di scatto si era alzato dal paglione e con la testa aveva battuto nel soffitto con tale forza da farlo lagrimare. Così si attaccava all’inferriata. Vedeva di fronte il muro grigio, forse era quello di un cortiletto delle guardie di Palazzo Ducale. Aveva freddo e gli mancava il fiato, si sentiva soffocare. «Oh, cani» gridava «aria, voglio, aria, aria!» Attaccato alle inferriate respirava con le fauci spalancate. «Qua móro» urlava.
Rovesciò la testa e la picchiò ancora sul soffitto. Masticava insulti al Guardian della spada e ai Procuratori.
Non sentiva una voce, lo scalpiccio di un passo.
Quella, pensava Jacopo, era la gratitudine dei Procuratori, la giustizia veneziana con la quale era trattato un artista che si stremava ogni dì per fare armoniosa quella città gremita di capanne, abitata da battipalo, barcaroli e impiraperle, infestata di pittime e di mercanti di strazze, ladroni infingardi. Quello infine era il trattamento che gli altolocati Procuratori avevano riservato al proto eletto della chiesa di San Marco: che in tanti anni di strussie, ora non gli mandavano buono il crollo della Libreria Marciana, da discutere invece con argomenti di proposito. Un po’ di prudenza, signori, lui non sarebbe scappato in Dalmazia; anzi sarebbe stato là, pacifico, a sentir le querele e a dire la sua.
Quando avesse spiegato l’arcano della volta crollata, e magari pagato il danno di sua scarsella, avrebbe preso la prima carrozza di posta diretta a Roma, scrollando dalle scarpe la velma che vi era attaccata. Un buon servizio del papa, desiderava, e lo avrebbe ottenuto con le lettere gratulatorie del Bembo e dell’Aretino. Via via, dal marcio di Venezia, dalla merda dei canali. Addio, carissimi Pietro e Tizian, addio anche a te Marcolino tipografo, addio a tutti. Tornava a sdraiarsi sul paglione. Chissà, con la notte insonne passata, che non fosse riuscito ad appisolarsi.
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