Profondo come il mare, leggero come il cielo by Gianluca Gotto

Profondo come il mare, leggero come il cielo by Gianluca Gotto

autore:Gianluca Gotto [Gotto, Gianluca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2023-02-02T12:00:00+00:00


Invece di “normale” Alan Watts avrebbe potuto usare il termine “sereno”. Lo dico perché ho provato tutto questo sulla mia pelle: Kento era pienamente convinto che non esista un sé e rideva del mio attaccamento a un io che lui vedeva chiaramente come illusorio, non reale. All’inizio questa sua sicurezza mi sconvolse, avrei voluto fargli cambiare idea, convincerlo che anche in lui c’era qualcosa di immutabile, un’anima o quantomeno un ego nel senso freudiano del termine… ma poi mi resi conto che lui era così sereno proprio perché sapeva che il sé non esiste e che quindi non c’è motivo di soffrire. La sofferenza nasce nel momento in cui ci identifichiamo con un’immagine mentale e quindi ci distacchiamo da tutto il resto, che ora ci appare immenso e minaccioso. Perdiamo così la consapevolezza che non c’è in realtà alcuna minaccia, perché ognuno di noi è l’immensità.

Vi pare una follia? Anche a me, all’inizio. Ma ora che ci ripenso, in quella stanza c’erano due persone e quella di gran lunga più felice e senza paura era quella che credeva senza esitazione nel non-sé. Non l’altra, che al sé si aggrappava con tutte le sue forze.

Si potrebbero spendere miliardi di parole sul non-sé e a noi occidentali sembrerebbe comunque assurdo, estremo e per alcuni persino spaventoso. Occuparsi di questo argomento in termini filosofici non è particolarmente utile per condurre una vita serena. Personalmente ritengo che il modo migliore di affrontare la questione per chi si approccia al buddhismo per la prima volta e non conosce bene le filosofie orientali sia di mantenere tutto su un piano strettamente psicologico.

Chiediamoci quindi che cosa volesse comunicarci il Buddha dicendoci che il nostro sé non esiste. Voleva forse sminuirci? Farci piombare in una crisi esistenziale e nel nichilismo? O forse voleva semplicemente invitarci a mettere da parte il nostro ego, perché pensare, parlare e agire ritenendosi al centro di tutto conduce alle più comuni sofferenze dell’essere umano?

Dal mio punto di vista, l’ultima prospettiva è quella più sana, corretta e utile. Avere un ego troppo grande significa avere una brama troppo forte e questo, come abbiamo visto, vuol dire essere schiavi del dukkha, l’insoddisfazione esistenziale. In poche parole, l’ego conduce alla sofferenza. Possiamo iniziare a lavorare su noi stessi in questo senso assumendo una retta visione: invece di concentrarci sempre e solo sul sé, coltiviamo il non-sé. Occupiamoci quindi di tutto ciò che non è io, usciamo da questa ossessione che mette noi stessi davanti e sopra tutto e tutti. Basterebbe questo per evitare molte forme di sofferenza: reazioni rabbiose o eccessivamente tristi, i sensi di colpa e il desiderio di vendetta, la paura di essere umiliati, isolati e sconfitti da nemici immaginari. La vita diventa molto più leggera senza il peso dell’ego, senza il dualismo tra io e tutto il resto. Smettiamo di sentirci piccoli di fronte all’immensità dell’altro: non c’è un altro e noi stessi siamo immensi.



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