Quando andiamo a casa? by Michele Farina
autore:Michele Farina [Farina, Michele]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2015-07-14T22:00:00+00:00
L’ombra e l’atrofia
In Cent’anni di solitudine il paese di Macondo è colpito dalla stessa malattia della memoria che ha poi spento il suo autore. Due anni prima che il colombiano Gabriel García Márquez morisse, il fratello Jaime lo raccontò agli studenti di Cartagena: «Sono anni che ha la demenza. Mi chiama spesso per farmi domande banali, lo stiamo perdendo».
A Macondo il vecchio José Arcadio Buendía cercò di correre ai ripari costruendo una macchina per ricordare: «La immaginava come un dizionario girevole che un individuo situato al centro potesse manovrare mediante una manovella, in modo che in poche ore passassero davanti ai suoi occhi le nozioni più necessarie per vivere. Era riuscito a scrivere circa quattordicimila schede», quando alla sua porta apparve «un vecchio bizzarro con la triste campanella dei dormienti». José Arcadio lo fece entrare ma non lo riconobbe, e allora il vecchio «aprì la valigia zeppa di oggetti indecifrabili, e tra quelli prese una valigetta con parecchi flaconi. Diede da bere a José Arcadio Buendía una sostanza di colore gradevole, e la luce si fece nella sua memoria. Gli occhi si inumidirono di pianto, prima di vedere se stesso in un salotto assurdo dove gli oggetti erano etichettati, e prima di vergognarsi delle solenni baggianate scritte alle pareti e prima di riconoscere il nuovo venuto in un abbagliante fulgore di gioia. Era Melquíades».
Chi non vorrebbe ricevere un giorno il vecchio zingaro con la sua valigia zeppa di oggetti indecifrabili e soprattutto di flaconi miracolosi? È il grande mago del libro, che si apre con un incipit tra i più celebrati: «Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». Ed è sempre lui, Melquíades, l’uomo che porta il ghiaccio in paese.
Chissà se la malattia ha cambiato anche la casa di Gabo a Città del Messico, se anche lui ha immaginato una prodigiosa macchina a manovella. O forse si è lasciato scivolare, abbandonando le cose alle proprie spalle: «Ahora puedo olvidarlas», come nei versi finali di una poesia dell’altro gigante della letteratura sudamericana. Così termina Elogio dell’Ombra di Jorge Luis Borges: «Posso infine scordare. Giungo al centro, / alla mia chiave, all’algebra, / al mio specchio. / Presto saprò chi sono». La dimenticanza come punto di arrivo, passe-partout, ultimo passaporto per la frontiera interiore. Un modo supremo per sdrammatizzare, alla fine della vita. Ma chi glielo dice a Patricia di Medellín o al marito della donna dagli occhi grandi?
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