Racconti Argentini [beta da leggere] by Aa.Vv

Racconti Argentini [beta da leggere] by Aa.Vv

autore:Aa.Vv.
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa
editore: Franco Maria Ricci editore
pubblicato: 1850-05-14T16:00:00+00:00


Dove Juan Fedro Rearte fa

un salto di trent’anni

Uno strepito formidabile di cristalli e legname soffocava il brusio delle conversazioni dei passeggeri. Incalzato da un’impazienza da incubo, Rearte sonava disperatamente la cornetta e superava gli incroci come un uragano. I vigili urbani, morione in capo e uose bianche, lo salutavano ironicamente al passaggio, e dall’alta serpa del loro coupé i cocchieri dai lunghi baffi e barbetta a punta lo incitavano a correre di più.

Orgoglioso dei suoi cavalli, Rearte non badava alle scampanellate disperate dei passeggeri…

Di colpo la vista gli si offuscò e con un rombo di tuono scomparve il paesaggio familiare: i vigili in chepí e uose bianche, i cocchieri con la barba, le carrette di mazamorra, i lattai baschi a cavallo, le signore in mantiglia e i gentiluomini con la tuba… Anche la doppia fila di case basse si perse all’orizzonte, fondendosi come l’ultimo tratto di una strada ferrata. Rearte chiuse gli occhi con rassegnata tristezza per non vedere annichilirsi gli ultimi fantasmi del suo mondo: un lampionaio che si allontanava elasticamente con la sua lancia sulla spalla e un carro d’acquaiolo trascinato pesantemente da tre piccole mule.

Quando li riaprì, si trovò steso accanto a un portone e all’ombra di un palazzo di sette piani. Lo attorniava un capannello di gente attraverso le cui gambe poté vedere sulla carreggiata le macerie del tram e in una pozza di sangue i corpi inerti dei due cavalli.

Accanto a lui, un vigile biondo interrogava, taccuino e lapis in mano come un giornalista, un motorman pallido e loquace. Rearte poté rendersi conto che aveva investito un tram elettrico, e dai sintomi già conosciuti avvertì che si era rotto l’altra gamba.

Ritrovando la lucidità insieme al dolore, si preoccupò unicamente di sapere la data.

«Che giorno è oggi?» chiese ansioso.

«26 luglio», gli rispose il medico che gli tastava la caviglia.

«Che anno?» insistette Rearte.

«1918», rispose il medico, e aggiunse, come fra sé: «La tibia sembra fratturata in tre punti.»

«Non è molto per un salto di trent’anni…» commentò filosoficamente il vecchio manovratore.

Perché trent’anni prima — il 26 luglio 1888 — i cavalli gli avevano preso la mano nello stesso tratto, e secondo il medico era stato sul punto di rompersi le ossa dello stinco.

Dopo questa storica riflessione, Juan Pedro Rearte chiuse gli occhi, simulando uno svenimento. Si vergognava di vedersi oggetto di pubblica curiosità, e di dover rispondere alle domande incalzanti dei poliziotti. Avrebbe voluto che lo interrogasse uno di quei vigili dal chepí col morione, tanto arbitrari e tanto alla buona nel contempo, i vigili della sua giovinezza. Quelli di adesso gli parevano stranieri, e deporre davanti a loro gli sembrava come abdicare alla propria nazionalità.

E gli dava soprattutto fastidio lo sgomento del motorman che non cessava di ripetere:

«Ma come è possibile che questo trabiccolo abbia traversato tutta la città a quest’ora e contromano? Com’è possibile?»

Rearte sapeva com’era stato possibile, perché, negli scontri fra gli allucinati e la realtà, essi possiedono la chiave ineffabile del mistero. Ma come spiegarlo a quel rozzo servitore di una macchina?



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