Relazioni brutali by Elisa Giomi Sveva Magaraggia

Relazioni brutali by Elisa Giomi Sveva Magaraggia

autore:Elisa, Giomi,Sveva, Magaraggia [Giomi, Elisa Magaraggia, Sveva]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sociologia, Studi e Ricerche
ISBN: 9788815335609
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2017-10-14T22:00:00+00:00


3. Disinnescare la violenza femminile: «non vere donne o non vero crimine», mad or bad

Come evidenziato da Worral «si assume che la criminalità sia un attributo maschile, e le donne criminali sono dunque percepite come ‘non donne’ o ‘non criminali’» [1990, 31, in Davies 2011, 95-96]. Il disconoscimento delle condotte antisociali agite da donne si produce invalidando la loro appartenenza di genere oppure negando la natura criminale del loro agire. Nel primo caso si evocano le figure della donna mascolina, della donna sessualmente deviante e della donna diabolica, tutte a diverso titolo «innaturali»; nel secondo caso si chiama in causa la pazzia, oppure si interpreta la violenza come autodifesa.

La tesi secondo cui coloro che commettevano azioni violente e/o criminose non fossero «vere donne» riscosse un certo credito alla fine dell’800. Gilbert, che ripercorre le radici storiche degli stereotipi sociali sulle donne violente, evidenzia l’impegno degli scienziati dell’epoca – sociologi, biologi, medici, endocrinologi, incluso Darwin ed epigoni – nel dimostrare la correlazione tra assunzione di tratti maschili e graduale tendenza alla bisessualità, all’eccesso sessuale, alla perversione dell’istinto materno e infine alla criminalità [2002, 1285]. Il contributo maggiore in questa direzione proviene, in ogni caso, dal padre della criminologia positivista, Cesare Lombroso. Nel 1893, assieme a Guglielmo Ferrero, in La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, sosteneva come la criminale fosse più vicina al maschio che a una donna «normale», condividendo con il primo numerosi tratti psico-fisici, tra cui un’attività intellettuale più pronunciata e l’ardore sessuale: «quelle che più propriamente manifestano una esagerata e continuata libidine sono insieme criminali-nate e prostitute-nate, in cui la lascivia si mescola con la ferocia e [...] le ravvicina anche sotto questo punto di vista al maschio» [Lombroso, Ferrero 2009, 408].

È questa l’origine del processo di sessualizzazione e «maschilizzazione» della criminalità femminile, destinato a influenzarne la percezione nei secoli. La relazione tra mancato sviluppo di una femminilità «appropriata» e propensione ai comportamenti antisociali, in criminologia, è stata sviluppata da Glueck e Glueck [1934] e da Cowie et al. [1968]; in sociologia ha fatto da sfondo alle tesi di Adler, Simon e Hagan, i quali, abbiamo visto, ipotizzavano l’incremento della criminalità e della violenza femminile come effetto di un’assimilazione delle donne alla condizione maschile. In tempi più recenti, l’assunzione di tratti psicologici maschili è stata usata come chiave di lettura della Ipv femminile (si veda, ad esempio, Dietz, Jasinski [2003]).

In sede legale, e spesso anche nella copertura mediale, lo stereotipo della donna mascolina viene frequentemente mobilitato quando la rea è lesbica. Come la prostituta lombrosiana, si ritiene abbia una sessualità «deviante» e attiva, quindi maschile: proprio la «innaturalità» della sua sessualità «è considerata una spiegazione della innaturalità del commettere crimini violenti da parte del sesso debole» [Barak et al. 2010, 123]. Inoltre le lesbiche sono «altre» dentro un gruppo – le donne – già di per sé costruito come «altro» dalla società patriarcale, quindi si prestano perfettamente ad esorcizzare nell’altrove la violenza. La «sessualità perversa», il carattere «dominante», l’aspetto fisico lontano dai canoni estetici femminili molto



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