Renoir, mio padre by Jean Renoir
autore:Jean Renoir [Renoir, Jean]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-06-10T22:00:00+00:00
I princìpi formulati in queste note hanno un innegabile carattere di eternità e sono espressi con una logica così semplice che li mette alla portata di tutti. Il dilemma sta nell’applicazione di tali princìpi. Renoir mi avrebbe detto in seguito che, in politica come nell’arte, spesso i peggiori avversari in teoria sono d’accordo gli uni con gli altri; la guerra scoppia quando si passa alla pratica. E qui Renoir esalta l’insegnamento dei maestri, ma raccomanda di non copiarli. Solo la natura dev’essere copiata. È questo l’impressionismo. Ben presto tornerà all’atteggiamento modesto della sua giovinezza: per assimilare bene l’insegnamento dei maestri bisogna prima capirli. Percezione diretta contro tradizione, una questione di metodo e non di principio, sulla quale si innesta la questione del lavoro dal vero in contrapposizione al lavoro in studio. Alla fine si arriva al grande problema, il più grave, quello della presenza dell’artista nell’opera d’arte. Mi scuso per questo mio ripetermi, ma sono i problemi che tormentavano mio padre, come tormentano, hanno tormentato e tormenteranno la maggior parte di coloro che creano. In Renoir, del resto, il tormento cessava non appena si trovava davanti al suo cavalletto.
Monet lo paragonava a un timido duellante che sente svanire le sue paure appena si trova con la spada in mano di fronte all’avversario. A proposito di copiare i maestri, ho davanti agli occhi un piccolo paesaggio di Corot... dipinto da Renoir. Questa copia è un’opera deliziosa, che apre orizzonti infiniti sul problema dell’imitazione dei maestri. Quel che noi distinguiamo attraverso gli alberi grigi e il cielo limpido, è un ritratto abbastanza preciso di Corot eseguito dal suo umile ammiratore. In quell’esercizio senza pretese mio padre afferma quella grande verità che la sua modestia gli impedisce di riconoscere nelle sue note: l’opera d’arte è l’espressione candida e spesso incosciente della personalità del suo autore. Alla fine della sua vita, quando mio fratello minore ed io facevamo delle ceramiche sotto la sua direzione, ci parlava degli errori dell’arte moderna che cercava di copiare la natura senza averla digerita. Citava la goffaggine degli ingressi della metropolitana parigina direttamente ispirati a liane o a fiori; in opposizione ai tappeti persiani, magnifici nella loro stilizzazione, e ai piatti di Delft copiati da quelli cinesi. Ci ricordava che Cézanne aveva dipinto i suoi mazzi di fiori avendo come modello dei fiori artificiali. Era costretto ad ammettere che il genio esiste. «Ci sono popoli, gruppi, individui che possiedono quella piccola scintilla. Ce ne comunicano l’ardore e poco importa il pretesto». Pensieroso osservava un piatto di Urbino appeso al muro. «Il brutto è che, se l’artista sa di avere del genio, è fregato! La salvezza sta nel lavorare come un operaio e nel non montarsi la testa».
Potrei citare infinite dichiarazioni di Renoir che affermano allo stesso tempo la sua sottomissione alle impressioni dirette e il suo rispetto per i canoni classici e per il lavoro in studio. Se si dovesse credere alle sue parole, lo si prenderebbe ora per un impressionista impenitente, deciso a seguire la stessa linea del suo amico Claude Monet, ora per un classico intransigente, ostinato discepolo di Ingres.
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