S’avanza la mia ombra a passi di lupa by Valeria Palumbo

autore:Valeria Palumbo [Palumbo, Valeria]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Enciclopedia delle donne
pubblicato: 2024-03-17T23:00:00+00:00

Narrare, narrarsi: per un nuovo racconto

Romaine Brooks definiva sé stessa “lapidée”, lapidata, e lapidati considerava tutti coloro che, per non essere nei binari delle convenzioni, subivano gli strali della società. Ci metteva dentro anche Gabriele D’Annunzio che, da parte sua, si definiva “lebbroso”. Il poeta riservava la definizione a sé stesso, ma forse solo perché, per lui, gli altri non esistevano. Era il lebbroso e al tempo stesso il san Francesco che lo salva.

Questa differenza ha a che fare con la capacità di molti uomini di assolversi o di giudicare irrilevanti critiche o condanne. E con la loro abilità a strappare la stessa assoluzione a contemporanei e posteri. È così che, come il poeta di Pescara, riescono ad accreditare le loro autobiografie come fededegne. In alcuni casi, le fanno passare come opere letterarie. Le donne hanno scritto moltissimi memoir, ma ci sono voluti secoli prima che si cominciasse a considerarli rilevanti. E poi, in alcuni casi, letterariamente notevoli. O addirittura capolavori. Il Nobel per la letteratura consegnato, per il 2022, ad Annie Ernaux, la scrittrice francese che ha saputo saldare l’autobiografia con il ritratto chirurgico di una fetta di società, ha chiuso il cerchio. Non pareggia i conti ma cambia i paradigmi del giudizio.

Ad alcuni uomini più fortunati è anche capitato di potersi costruire un proprio mausoleo, di trasformare cioè le loro ultime dimore in musei che rispecchiassero la narrazione che volevano lasciare di sé. Richard Wagner a Bayreuth, ha avuto pure la fortuna che ci fosse qualcun altro, in questo caso la moglie Cosima, a costruire il tempio e a custodirlo.

Per le donne è stato più difficile. Romaine avrebbe potuto farlo perché era tra le poche privilegiate che potevano comprarsi una casa di pregio e arredarla a suo piacimento. Luisa Casati e Peggy Guggenheim (guarda caso nella stessa dimora, Palazzo Leoni a Venezia) ci sono riuscite, almeno in parte. Lo stesso è accaduto a Tamara de Lempicka. Ma molte delle donne che hanno goduto dei privilegi di Romaine hanno preferito restare nomadi. In più, tranne eccezioni come appunto quelle di Natalie Barney, di Romaine e della pittrice Rosa Bonheur (la cui casa è appunto un museo, come abbiamo già raccontato), le intellettuali e artiste sono state raramente proprietarie delle loro case.

È un aspetto che oggi, grazie alla crescente autonomia economica delle donne, non è molto considerato. Ma in quasi tutte le culture, sposandosi, le donne escono dalle case di nascita, su cui non mantengono alcun diritto, ed entrano in quelle dei mariti, sulle quali non hanno diritti, se non da vedove. Anche se ricchissime.

Alcuni casi di nomadismo letterario femminile sono clamorosi: basti pensare al randagismo imposto a Jane Austen, a sua madre Cassandra e a sua sorella Cassandra Elizabeth, alla morte del padre George. La casa di famiglia passava al fratello Henry. Punto. Il cottage modesto che alla fine il ricchissimo fratello Edward mise loro a disposizione non era né un regalo né un gesto di giustizia, ma di carità.

Valeva in vita e in morte. A Baden-Baden la casa di Johannes Brahms è un museo, quella, poco distante, di Clara Wieck Schumann no.

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