schuré, i grandi iniziati by [.]

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autore:. [.]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2016-04-01T16:00:00+00:00


Capitolo secondo

GLI ANNI DI VIAGGIO

Samo era, al principio del sesto secolo avanti Cristo, una delle isole più fiorenti della Ionia. La rada del suo porto si apriva di fronte alle montagne violacee della molle Asia Minore, da cui venivano tutti i lussi e tutte le seduzioni. In una larga baia, la città si distendeva sulla riva verdeggiante e si elevava ad anfiteatro sulla montagna, ai piedi di un promontorio coronato dal tempio di Nettuno. La dominavano i colonnati d'un palazzo magnifico, in cui regnava il tiranno Policrate, che, dopo aver privato Samo delle sue libertà, le aveva dato il lustro delle arti e di uno splendore asiatico. Etère di Lesbo, fatte venire da lui, erano venute ad abitare in un palazzo vicino al suo e invitavano i giovani della città a feste, in cui insegnavano loro le voluttà più raffinate, fra la musica, le danze e i banchetti. Anacreonte, chiamato da Policrate a Samo, vi fu portato con una trireme dalle vele purpuree e dai remi dorati, e il poeta, con una coppa d'argento cesellato in mano, fece sentire innanzi a questa alta corte del piacere le sue odi carezzevoli e profumate come una pioggia di rose. La fortuna di Policrate era diventata proverbiale in tutta la Grecia. Egli aveva per amico il faraone Amasi, che l'avvertì più volte di diffidare di una buona ventura così incessante e soprattutto di non vantarsene; ma Policrate rispose all'avvertimento del monarca egiziano gettando il suo anello nel mare: «Io faccio questo sacrificio agli dèi» disse. E l'indomani un pescatore riportò al tiranno l'anello prezioso, trovato nel ventre d'un pesce. Quando il faraone seppe questo, dichiarò di rompere la sua amicizia con Policrate, perché una fortuna così insolente gli avrebbe attirato la vendetta degli dèi. Checché ne sia dell'aneddoto, la fine di Policrate fu tragica: uno dei suoi patrassi lo attirò in una provincia vicina, lo fece morire fra i tormenti e ordinò che si appendesse il suo corpo ad una croce sul monte Micale. Così gli abitanti di Samo poterono vedere, in un sanguinoso tramonto, il cadavere del loro tiranno crocifisso sulla sommità di un promontorio, in faccia all'isola dove aveva regnato nella gloria e fra i piaceri.

Ma ritorniamo agli inizi del regno di Policrate. In una notte chiara, un giovine era seduto in una foresta di agnocasti dalle foglie lucenti, non lungi dal

tempio di Giunone, del quale la luna piena inondava la facciata dorica, facendone risaltare la mistica maestà. Da un pezzo un rotolo di papiro, che conteneva un canto d'Omero, era scivolato ai suoi piedi: la sua meditazione, incominciata al crepuscolo, durava ancora e si prolungava nel silenzio della notte. Da un pezzo il sole era tramontato; ma il suo disco fiammeggiante ondeggiava ancora in presenza irreale allo sguardo del giovine pensoso, perché il suo pensiero errava lontano dal mondo visibile.

Pitagora era il figlio di un ricco mercante di anelli di Samo e di una donna chiamata Partenide. La Pizia di Delfo, consultata in un viaggio dai giovani sposi, aveva loro



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