Selvaggi. Il rewilding della terra, dei mari e della vita umana by George Monbiot

Selvaggi. Il rewilding della terra, dei mari e della vita umana by George Monbiot

autore:George Monbiot [Monbiot, George]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788893710428
editore: Piano B
pubblicato: 2018-02-05T23:00:00+00:00


LA PESTE BIANCA

Da Langley Bush io vago, ma il bosco ha lasciato la sua collina

Su Cowper Green dispero, un deserto strano e freddo

E campi aperti vicino alla quercia che prima di decadere rinchiusero la sua volontà

Della scure che guasta e del tornaconto personale cadde preda

John Clare, Memorie

La maggior parte delle attività umane, a meno che non siano frenate dal dissenso pubblico, si evolvono in monoculture. Il denaro cerca attentamente il vantaggio comparato di un’area – il campo in cui compete con maggior successo – e lo promuove a esclusione di tutto il resto. Ogni paesaggio di terra o di mare, se questo processo è avviato, finisce per svolgere una sola funzione.

Questo sistema mette a dura prova il mondo naturale. Una falda acquifera potrebbe contenere abbastanza acqua per consentire a qualche agricoltore di coltivare erba medica, ma forse non a tutti. Un lago, una baia o un fiordo potrebbero aver spazio per il salmone selvatico e per un paio di allevamenti, ma se vengono costruite troppe gabbie i parassiti che le infestano potrebbero sopraffare il salmone selvatico. Molti uccelli dell’habitat agricolo possono sopravvivere in un paesaggio misto di pascolo e seminativi, siepi d’arbusti e boschi, ma non in un campo infinito di frumento o soia.

Alcuni sostenitori del rewilding vedono le riserve di terra autodeterminata come una compensazione per le piatte monoculture che imperversano altrove. Credo che porzioni di terra selvaggia – piccole in alcuni luoghi, più grandi in altri – dovrebbero essere accessibili a tutti: nessuno dovrebbe dover viaggiare troppo lontano per cercare un rifugio dal nostro mondo organizzato. Sarei contrario a un rewilding di massa di terreni agricoli di alta qualità, a causa della minaccia che questo potrebbe rappresentare per le scorte alimentari globali; ma perderemmo ben poco se consentissimmo alla natura di prosperare in piccoli angoli incolti e zone non sfruttate, anche nei luoghi più fertili.

La spinta verso la monocultura causa una denaturalizzazione, sia dei luoghi che degli uomini. Spoglia la terra della diversità della vita e della struttura naturale verso cui gli esseri umani tendono. Crea un mondo spento, un mondo piatto, un mondo privo di colore e varietà, che aggrava la nostra noia ecologica, restringe gli scopi delle nostre vite, limita la gamma del nostro impegno con la natura e ci schiaccia verso una monocultura dello spirito.

Dubito che qualcuno desideri che questo accada al mondo che lo circonda, eccezion fatta per coloro – una manciata di uomini – che si guadagnano da vivere in questo modo. Ma a questi pochi sono stati conferiti poteri sia dalla proprietà del territorio che da una sorta di servilismo culturale, che impedisce agli altri di sfidarli. Gramsci utilizzò l’espressione «egemonia culturale» per descrivere il modo in cui vengono universalizzate le idee che giovano a una classe dominante. Queste diventano norme, adottate e non esaminate, che modellano il nostro pensiero. Forse in questo senso soffriamo di un’egemonia agricola: ciò che è ritenuto buono per gli agricoltori o i proprietari terrieri è considerato – senza domande o sfide – buono per tutti.

In alcuni casi sborsiamo denaro per supportare questa egemonia e le monoculture che crea.



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