Sfruttamento e caporalato in Italia by Marco Omizzolo

Sfruttamento e caporalato in Italia by Marco Omizzolo

autore:Marco Omizzolo [Omizzolo, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Scienze sociali
editore: Rubbettino Editore
pubblicato: 2023-09-01T14:04:11+00:00


Caporalato digitale: «Fare il rider è meglio che niente»[23]

Dopo aver tratteggiato, seppur sinteticamente, le condizioni di lavoro che possono derivare da una deregolamentata interazione tra tecnologica e lavoro, occorre chiedersi rispetto a questi inediti fenomeni di sfruttamento – c.d. caporalato “grigio”, “digitale” e “collettivo” – quale sia la risposta dell’ordinamento giuridico.

Più specificatamente è necessario comprendere se “lavorare sempre di più” in violazione della normativa sull’orario di lavoro e di riposo[24], nonché sulla sicurezza e salute sul lavoro, in condizioni umilianti e degradanti, accettate a causa dello stato di particolare di bisogno dei lavoratori, aggravato spesso da condizioni di irregolarità[25], sotto il controllo di meccanismi automatizzati, integri il delitto rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, di cui all’art. 603 bis del c.p[26].. ovvero meriti una risposta che si muove unicamente sul piano giuslavoristico.

Certamente si tratta di forme di sfruttamento maggiormente opache e larvate rispetto all’archetipo della fattispecie penale rinvenuto nell’ambito dell’industria agro-alimentare e dell’edilizia[27] ma ciò non toglie che, nell’ambito di una interpretazione evolutiva che non sconfini nella violazione del principio di tipicità della fattispecie penale[28], il delitto de quo possa essere applicato per reprimere anche la dirompente emersione di nuovi fenomeni di sfruttamento collegati all’evoluzione socio-tecno-economica e che si realizzano in un contesto urbano.

L’occasione per la giurisprudenza di confrontarsi sull’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 603 bis c.p. è stata offerta dalla nota vicenda Uber Eats, in cui era emerso un reclutamento illecito e massivo di manodopera in situazioni di emarginazione sociale, quale quella dei migranti richiedenti asilo, per lo più dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria, che lavoravano, di fatto per la piattaforma, in condizioni di lavoro non dignitose, espressione della violazione sistematica delle disposizioni a tutela dei lavoratori, come peraltro emerso anche in altre azioni ispettive condotte in tutta Italia[29].

La vicenda si è svolta seguendo un doppio binario: il primo ha riguardato la società Uber Eats per cui è stata disposta la misura dell’amministrazione giudiziaria dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano[30]. Misura, poi, rimossa per effetto dell’esito positivo dell’amministrazione e, in particolare, delle misure di c.d. self cleaning che la società ha posto in essere[31]. Il secondo, invece, riguarda i manager delle società intermediarie coinvolte (Flash Road e Flash Road city srl), che hanno scelto il patteggiamento, e la manager di Uber che, invece, ha ritenuto di andare a dibattimento. I primi sono stati condannati dal Gup di Milano[32] alla pena finale di anni tre, mesi otto di reclusione ed euro 30.000 di multa in relazione al delitto di sfruttamento lavorativo ai danni dei rider e ai reati fiscali previsti dagli artt. 2 e 8 del d.lgs. 74/2000, ritenuti avvinti da continuazione con il primo reato.

Questa pronuncia, tuttavia, è particolarmente interessante perché si tratta della prima occasione per la giurisprudenza di riflettere sull’applicabilità della fattispecie ex art. 603 bis c.p. al caporalato digitale[33]. In particolare, al giudicante è stato richiesto di chiarire il significato di alcuni elementi cardine della fattispecie – le nozioni di “sfruttamento” e di “stato di bisogno” – calandoli nel contesto digitale, andando



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