Slow horses. Un covo di bastardi by Mick Herron

Slow horses. Un covo di bastardi by Mick Herron

autore:Mick Herron [Herron, Mick]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2022-04-19T22:00:00+00:00


11.

Lungo una strada tranquilla di Islington, dove le porte delle case erano appollaiate in cima a rampe di gradini in pietra, alcune fiancheggiate da colonne, altre sormontate da finestre dai vetri colorati, Robert Hobden camminava con l’impermeabile che si gonfiava nel vento notturno. Era mezzanotte passata. Alcune case erano immerse nelle tenebre, altre lasciavano filtrare un po’ di luce da dietro spessi tendaggi. Hobden riusciva quasi a sentire il tintinnio di stoviglie, i bicchieri che si toccavano in un brindisi. Circa a metà della strada, trovò la casa che stava cercando.

Le luci erano accese. Di nuovo, gli sembrò di udire il brusio di una cena affollata, ma era la sua immaginazione. A quel punto loro dovevano essere già al brandy. Comunque, luci o non luci, piantò il dito sul campanello e lo tolse solo quando la porta si aprì, meno di un minuto dopo.

“Sì?”

L’uomo che aveva parlato era snello ed elegante, capelli neri pettinati all’indietro, fronte alta, occhi castani penetranti concentrati su Hobden. Vestito scuro, camicia bianca. Un maggiordomo, forse? Non importava.

“Il signor Judd è in casa?”

“È molto tardi, lo sa?”

“Per strano che possa sembrare,” disse Hobden, “lo sapevo. Lui c’è?”

“Chi devo dire?”

“Hobden. Robert Hobden.”

L’uomo chiuse la porta.

Hobden si voltò a guardare la strada. Le case di fronte sembrarono ondeggiare sotto il suo sguardo: era l’effetto della loro altezza e delle nuvole che correvano sopra uno sfondo di velluto. Hobden si sentiva stranamente tranquillo. Poco prima si era trovato più vicino alla morte di quanto fosse mai stato, eppure una calma era scesa sopra di lui. O forse era calmo proprio perché era stato vicino alla morte, e quindi era improbabile che succedesse di nuovo nella stessa notte. Era un fatto statistico.

Non sapeva per certo se l’intruso fosse venuto a ucciderlo. Era successo tutto in modo confuso. Camminava su e giù per la stanza, in attesa di una telefonata che non arrivava, e un attimo dopo un uomo mascherato gli aveva chiesto di consegnargli il suo laptop, in un sussurro urgente. Doveva essere entrato scassinando la serratura. Era stato un momento di rumore e paura, l’uomo agitava una pistola, poi era entrato un altro intruso e a un tratto tutti e tre si erano ritrovati fuori e c’era del sangue sul marciapiede, e...

Hobden era scappato. Non sapeva chi fosse stato colpito e non gli importava. Era fuggito di corsa. Una cosa che non succedeva da chissà quanto tempo. Anche in passato, quando doveva arrivare in fretta da qualche parte, prendeva un taxi. Perciò era rimasto senza fiato dopo pochi passi, ma aveva continuato a correre; i piedi pestavano il marciapiede come grossi pesci piatti, e i contraccolpi gli arrivavano fino ai denti. Aveva voltato un angolo, poi un altro. Viveva a Londra da più tempo di quanto gli piacesse ricordare, eppure si era perso nel giro di qualche minuto. Non osava voltarsi indietro a guardare. Non sapeva dove finiva il rumore dei suoi passi e cominciava quello dei suoi inseguitori. I rumori si intrecciavano come cerchi olimpici.

Alla fine si era fermato ansimando, piegato in due, davanti all’ingresso di un negozio chiuso.



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