Soli e civili by Matteo Marchesini

Soli e civili by Matteo Marchesini

autore:Matteo Marchesini [Marchesini, Matteo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni dell'Asino
pubblicato: 2020-04-29T15:17:36+00:00


GADDIANO E CLASSICISTA

«Per me successo è participio passato del verbo succedere.»

I nostri scrittori nati negli anni Venti, gli ultimi a conoscere una canonizzazione non meramente accademico-editoriale, hanno attraversato in poco tempo un numero straordinario di traumi storici e stagioni culturali. Cresciuti tra prosa d’arte e fascismo, adulti tra neorealismo e dopoguerra, sono maturati poi durante il boom, perdendo le speranze palingenetiche della giovinezza. Spesso hanno trasformato le narrazioni degli esordi in levigati apologhi o in ibride, lutulente opere-mostro, invecchiando tra le ideologie antistoriciste e approdando magari a un maneggevole postmodernismo. E’ una parabola che si può riconoscere in Pasolini, Sciascia, Calvino: cioè negli autori più celebri di questa generazione. Specie il primo e il terzo, in modi speculari, hanno finto di poter guardare la Storia dall’alto: cavalcando le mode anziché subirle, ed elaborando un sistema stilistico “onniattrattivo”, coerente come un marchio. Eppure nessuno di loro è dotato di una lingua così limpida e prensile come l’assai meno noto Luciano Bianciardi, morto esattamente quarant’anni fa.

Bianciardi sa cogliere le metamorfosi dell’epoca senza perdere lo sguardo di chi si sente uomo tra gli uomini, né si ritiene mai investito d’insostituibili mandati tecnici o sociali. Un amore inattuale per i buoni studi storico-letterari, e una quotidianità vissuta a lungo in cerca di amici fraterni (non di modelli, o alunni, o chierici-compagni illuminati) sono forse i tratti che lo hanno salvato dalle sclerotizzazioni identitarie dei colleghi, e che al tempo stesso hanno determinato la sua incapacità ad “amministrare” un proprio Ruolo.

Così, oggi che un Meridiano non si nega a nessuno, questo maremmano bizzarro ma mai dimentico del senso comune è stato editorialmente scavalcato da un ben altro genere di coetanei (vedi Camilleri). I gestori della sua eredità sono riusciti a dedicargli un Antimeridiano; ma anche loro, volgarizzandone l’“antagonismo”, non gli hanno sempre reso un buon servizio. Comunque sia, tra gli editori di nicchia che pubblicano i suoi pezzi cuciti in libelli o in densi tomi (ExCogita, Isbn, Stampa Alternativa) e le ristampe più visibili ma poco lette della Vita agra (Bompiani), questo autore continua ad essere assai meno stimato di quel che merita. Osserviamolo dunque da vicino.

*

Il piccolo-borghese Bianciardi, classe 1922, studia nella Pisa di Capitini, Russo, Calogero, e vi matura il suo liberalsocialismo. Dopo la guerra insegna al liceo di Grosseto, la sua città, e lì dirige la biblioteca Chelliana, inventandosi un Bibliobus per portare i libri nelle campagne. Collabora a Belfagor, Il Mondo, Il Contemporaneo; e nel ‘54, per l’Avanti!, stende con Cassola un reportage sui minatori. Quindi s’imbarca nell’impresa Feltrinelli: ma si fa subito scaricare, e da allora sceglie una vita randagia di pubblicista-traduttore (innumerevoli le versioni dall’inglese: London, Faulkner, Steinbeck, Bellow, Huxley, Robbins, Barth...).

Tra il ‘57 e il ‘60 escono i suoi primi romanzi-pamphlet, Il lavoro culturale e L’integrazione. Intanto, precedendo Eco e pure Warhol, Bianciardi ha già offerto impeccabili analisi semiologiche della «mediocrità» di Mike e del quarto d’ora di celebrità televisivo. Lungo gli anni questa sua vocazione barthesiana, filtrata sempre da un linguaggio chiaro e referenziale, si esercita tra l’altro in una pionieristica rubrica intitolata «Telebianciardi».



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