Sporca faccenda, mezzala Morettini by Marco Ferrari & Marino Magliani

Sporca faccenda, mezzala Morettini by Marco Ferrari & Marino Magliani

autore:Marco Ferrari & Marino Magliani [Ferrari, Marco & Magliani, Marino]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni di Atlantide
pubblicato: 2024-05-14T22:00:00+00:00


Seconda parte

Capitolo 31

La sede della Gimnasia y Esgrima Pietro Gori era una fatiscente palazzina a un piano nella zona di Gerli. Gli scuri sbattevano, faceva sempre vento da quelle parti, e il resto non andava meglio, le grondaie a penzoloni, un vetro della finestra rotto e come riscaldamento c’era solo una stufa in ghisa alimentata dal carbone al centro del locale più grande, quella dove lavorava l’unica impiegata della società, la signorina Alba. Al fondo del locale un’altra scrivania e un gatto che se la dormiva su una sedia di paglia. Riccioli di polvere si annidavano negli angoli del salone.

Il paio di stanze ai lati erano riservate al presidente, allo staff tecnico e alle bacheche, tutte vuote, frutto dell’ennesimo assalto di qualche ladro di strada.

«Non avete più una sola coppa», osservò Menconi.

«Le stiamo recuperando, ci vuole tempo, il furto è della settimana scorsa. Di solito i nostri soci fanno una capatina al mercato dell’usato della domenica mattina e ritrovano quasi tutto. Pagano coppe e trofei a pochi pesos e riportano tutto quanto in bacheca. Ma ora il Presidente Américo Libertad Musetti ha dato ordine di tener tutto in casa, tanto i ladri tornerebbero».

Solo le vecchie foto d’epoca in bianco e nero resistevano appese ai muri accanto a quella dei fondatori, quindici membri del centro anarchico del quartiere, quasi tutti italiani, Alberti, Tonini, Rugai, Evangelisti, Biggi, Menconi, Mosti, Scalero, Rognoni, Motta, più un tornitore polacco, tal Włodzimierz Szymanowski detto Wlo e un basco dall’impronunciabile nome, Patxi Zeraxurruxta, tanto che si faceva chiamare semplicemente Palacios, come il primo deputato socialista dell’America Latina, perché per lui il vero socialismo altro non era che il comunismo anarchico.

Le partite degli esordi le avevano giocate in uno spazio libero, attiguo al camposanto, sorto quando l’epidemia di febbre gialla aveva provocato più di novemila morti nella Capitale, decimando soprattutto la popolazione nera, finché non costruirono con il lavoro volontario un vero e proprio rettangolo di gioco che venne battezzato con il motto anarchico “Estadio del saludo proletario”.

I giocatori dalle casacche rossonere si trascinavano ancora l’antico soprannome di “Crisantemi”. Dalla finestra, sul retro della antica sede, si poteva intravedere l’ingresso al cimitero urbano con i venditori di fiori e accanto il campo di allenamento della prima squadra che un tempo ospitava gli incontri ufficiali.

Anche la segretaria pareva assuefatta al clima del club, vestita di grigio, con un vistoso anello al dito, capelli scuri a caschetto. Batteva i tasti di una massiccia e corposa Remington con una velocità impressionante, senza neppure guardare il foglio bianco.

Dopo l’accoglienza, continuando il fervente lavorio, ebbe il tempo di dare qualche sbirciata a Menconi e offrirgli sorrisi. Poi, non si capisce qualche segnale avesse ricevuto, indicò con un cenno del capo una porta con un foglietto fissato con puntine da disegno: “Staff tecnico”, e disse: «Vada, vada pure, la stanno aspettando».

Manuel Borelli, tenacemente legato al soprannome di “Funebreros”, era vestito con un succinto abito nero, si lisciava il mento e con la testa leggermente piegata sul lato destro teneva gli occhi su un quotidiano aperto sulla scrivania.



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