Un lavoro da donne by AA.VV

Un lavoro da donne by AA.VV

autore:AA.VV.
La lingua: ita
Format: epub
editore: SUR
pubblicato: 2023-03-02T15:21:55+00:00


Diaforesi

di Margo Jefferson

1957-59

Fisso la copertina dell’album: Bud Powell: Jazz Original.

Quando sono da sola lo prendo dal mobiletto dei dischi e lo fisso, che abbia intenzione di ascoltarlo o meno. Talvolta lo rimetto a posto senza ascoltarlo. E penso a quella faccia, quella faccia scura e sudata.

La macchina fotografica si è permessa di avvicinarsi e fissarla. Lui ha gli occhi chiusi. Il suo volto è ombra e luce fumosa su una distesa notturna grigia e nera opaca. I capelli e i baffi sono neri. C’è una macchia di camicia bianca e cravatta a righe, una macchia di completo. Potrebbe essere sospeso da solo in un cosmo che lui stesso ha immaginato. Ha le labbra socchiuse. (Canticchia, respira, sudando.) È posseduto dalla sua musica. In uno stato di diaforesi – usiamo la parola greca per sudore – estatica.

Avevo otto, nove anni, e avevo imparato a tirar fuori il disco dalla busta, a tenerlo dalle estremità e a evitare di respirare velocemente quando lo posavo sul piatto e premevo («non dare un colpo, premi») PLAY. Sceglievo i dischi da ascoltare per tutta la famiglia ma trovavo sempre un momento distinto per ascoltarli da sola sul divano del soggiorno, a volte dondolandomi avanti e indietro. Mentre ascoltavo i dischi di Bud Powell, pensavo che il suo pianoforte assomigliasse al labirinto di Arianna, le dita che si snodavano sulle scale, si piegavano negli accordi, la lucidità che gareggiava con il virtuosismo a ogni accento e passaggio. Stavo leggendo i miti greci. Per me lui, ovviamente, era Teseo, l’eroe che strappa bellezza e armonia dalla presa di un mostro, srotolando con la mano destra il filo rosso della coerenza, mentre la sinistra analizza, sonda, valuta il suo progresso.

Non potevo ammettere, non ancora, che era anche il Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, dalle origini maledette e sacre: disprezzato, temuto, rinchiuso e trasformato in un mostro famelico il cui compito era uccidere giovani e bellissimi esseri umani. Bud Powell era un genio-mostro, diventato un genio grazie a ore e ore di ascolto e pratica voraci della musica; diventato un mostro grazie ad anni di percosse della polizia, farmaci, alcolici, esaurimenti nervosi, elettroshock, eroina e internamenti forzati in ospedali psichiatrici. Mezzo uomo, mezzo bestia: la designazione assegnata ai neri e applicata dalla legge e dalla pratica, dall’ira punitiva dei governanti che li imprigionavano in labirinti istituzionali dove il loro compito era distruggere gli altri prigionieri e dimostrare in tal modo la propria degradazione. La celebre storia, la leggenda: Powell che suona i tasti del pianoforte che aveva disegnato sul muro di uno di questi istituti e chiede a un visitatore: «Che ne pensi di questi accordi?» Non commiseratelo. Aveva creato lo strumento di cui aveva bisogno per sfuggire ai mattoni e al cemento rifugiandosi nei recinti di vetro della sua musica.

Mostro coraggioso, guidaci tu!

Dacci passaggi vertiginosi; dacci accordi e titoli sbarazzini e impetuosi. «So Sorry, Please». «Tempus Fugue-it». «Un Poco Loco».

Poi all’improvviso il mio cuore di preadolescente avvertì il bisogno delle melodie più tranquille di un romanticismo senza ostacoli.



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